Machshevet Israel – La poesia tra i versetti biblici

Cosimo Nicolini CoenNel guardare al Tanakh si è soliti distinguere tra norma e narrazione, tra prescrizione e “tutto ciò che non è Halakhà”, come per via negativa si definisce il genere dell’Aggadà. La distinzione, inaggirabile, è, però, punto di avvio per ulteriori distinzioni, sia all’interno del campo normativo che di quello ‘narrativo’. Dunque, “approcci ‘normativi’ e univoci” rischiano di nascondere “territori preziosi”, quelli non normativi all’interno dei quali spicca il genere poetico, “sintesi di sensi e suoni” dove “godimento estetico” e pensiero si intrecciano vicendevolmente. Con queste ultime parole si esprime Sara Ferrari, nel suo recente volume Poeti e poesia della Bibbia, edito per Claudiana. Ma – è necessario chiedersi, sulla scorta di J. L. Kugel – fino a che punto e in base a quali criteri è possibile distinguere, all’interno del Tanakh, tra prosa e poesia? È questo uno tra gli interrogativi che attraversa i diversi capitoli del volume che, in modo analitico, getta luce sugli elementi formali che contraddistinguono il genere poetico in contesti come la cantica del mare, “Debora e le altre” (Giudici 5,1-31) o Osea (2,4-25). Attraverso un’analisi testuale e intertestuale , mai parca di confronti con la letteratura scientifica in materia nonché con la Tradizione (in primis Rashi), Ferrari getta luce sul ruolo del genere poetico nell’economia biblica – non esimendosi da una riflessione sul ruolo della poesia nella letteratura occidentale (pp. 138 e seg.).
Su questo sfondo si staglia il secondo interrogativo, anch’esso trasversale ai diversi capitoli, inerente la matrice di genere femminile nella redazione dei testi poetici in questione nonché il rilievo dato alle figure femminili, quindi alla questione di genere, nella ricezione moderna e contemporanea degli stessi. Così Ferrari richiama la nostra attenzione sulle teorie che sostengono un’authorship femminile del “cantico di Miriam” – componente (forse) primigenia del cantico del mare – nonché di Debora, Anna (I Samuele 2,1-10) e del Cantico dei cantici. In particolare in Giudici 5,1-31 in riferimento a Debora e Yael, assistiamo a capovolgimento degli attributi di genere egemoni in una società patriarcale – rovesciamento che potrebbe trovare un suo parallelo, anche solo formale, nell’elegia in morte di Saul e Gionata dove David ricopre un ruolo “di appannaggio femminile” nell’Israele biblica, ossia il lamento funebre. Ma la centralità della questione di genere non si limita a ciò che sta prima – il genere delle autrici dei brani poetici – informandone la “storia degli effetti”, volendo qui riprendere un’espressione gadameriana, chiameremo. Anzitutto perché fu proprio guardando a questi, nota Ferrari, che le prime poetesse della rinata poesia ebraica riuscirono ad affermarsi in “un territorio” sino ad allora “appannaggio quasi soltanto maschile”. In secondo luogo perché il profilo femminile – come tema al centro di una determinata poetica – verrà ripreso e ampliato – anche a prescindere dal genere fisico dell’autore. È il caso di Hayim Gury che, riprendendo la figura della madre di Sisera, ne fa l’emblema universale del lutto materno così rovesciando l’ottica biblica sia nella forma (dai “toni sarcastici dell’originale” al tragico) sia nel messaggio.
L’ andamento della poetica di Gury permette di cogliere l’elemento saliente di quelli che, spiega Ferrari, non esiteremo a chiamare midrashim moderni, ossia quel consistente filone della rinata poetica ebraica in Terra di Israele, dove il confronto con lo scritto biblico è variamente fonte di nuova produzione. Fenomeno dove i temi trasversali a ogni poetica si intrecciano alla specifica eredità, letteraria e teoretica, di Israel. Così, nella celebre poesia Aqarah, Rachel riprende il tema biblico della sterilità scegliendo di enfatizzare la fase “dello struggimento” e non quella, propria al Tanakh, del prodigio. Allo stesso tempo, nota Ferrari, nella medesima poesia si richiama vuoi ad altri passi biblici (i riccioli neri di Uri rimandano, a quelli “neri come il corso” dell’amato di Shir aShirim) vuoi alla fiducia messianica evocata nelle proposizioni “Ancora lo aspetterò” con cui la poesia scema. Nelle antiche come nelle nuove poesie, che ritornano – fosse anche in chiave polemica, o per antitesi – al Tanakh, emergono tanto elementi trasversali a ogni uomo e donna quanto istanze proprie alla Tradizione. In quest’ultimo senso Ferrari si concentra sulla pervasività del tema del “rovesciamento” delle sorti, ossia del predominio di Dio su natura e storia. Tema che si esprime, visivamente, nel rovesciamento delle acque del Mare dei giunchi sull’esercito di Faraone; che si inaugura nella preghiera di Anna e che si realizza nella scelta “di un pastorello”, David, quale futuro Re di Israele.
Tema destinato ad infrangersi – nel suo esito, ma resistendo, come interrogativo – di fronte alla Shoah che “costringe a rimettere in discussione ogni cosa, non da ultimo l’affermazione biblica (…) secondo la quale l’amore è ‘forte come la morte’”. Qui Shulamit, appellativo che richiama, nella lettura allegorica di Shir aShirim, la figura di Israel a cospetto del suo amato, è colei soccombe – “capelli di cenere”, nelle parole sofferte della poesia di Celan. Pure la Shoah (la cui rielaborazione poetica da parte ebraica è stata analizzata da Ferrari in un volume edito per Belforte nel 2010) non è, almeno nella storia collettiva, pagina ultima. Nella congiuntura del ritorno alla Terra di Israele si danno le condizioni materiali per una ritrovata vitalità della fonte biblica, come i menzionati ‘midrashim moderni’ mostrano. In questo scenario, la figura di rovesciamento che più si attaglia è forse quella personificata da Debora, non a caso assurta a emblema di sabra. Non senza lasciare spazio – come visto nella rielaborazione poetica della figura della madre di Sisera in Haim Guri – a una ritrovata pietas nei confronti della madre in lutto, anche di quella del nemico. Dunque la poesia ebraica moderna si muove sulla soglia di quella biblica, ma per spronarla a interrogativi ed esigenze nuove – o, forse, antiche, prima cadute in ombra. Facendo emergere questa dialettica, tipica di ogni ermeneutica, il testo di Ferrari permette al lettore di cogliere in che misura il testo biblico sia fonte viva – matrice di nuova scrittura. Sia, in Israel (geografico e non), sia – nella misura in cui la Torah, nei diversi canoni e traduzioni, ha attraversato l’Occidente – al di là di questo, come la poesia di Salvatore Quasimodo Alle fronte dei salici (pp 213 e seg.) attesta.

Cosimo Nicolini Coen