Qui Milano – La medicina e l’etica del ricordo

Schermata 2018-10-18 alle 14.33.21A distanza di 80 anni dal Manifesto della Razza e dalla promulgazione delle Leggi razziste da parte del fascismo, anche il mondo scientifico sceglie di non dimenticare e riflettere sugli errori del passato. Ne è un esempio il seminario “Medicina e Shoah: ricordare per educare”, tenutosi in una data significativa come il 16 ottobre all’università di Milano Bicocca: un confronto frutto della collaborazione dell’università milanese con la Sapienza, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, l’Associazione medica ebraica e la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea. Diversi gli oratori intervenuti, tra cui il presidente della Fondazione Cdec Giorgio Sacerdoti – che ha fatto un quadro sulle Leggi razziste a distanza di 80 anni dalla promulgazione – e il vicepresidente dell’UCEI Giorgio Mortara di cui riportiamo di seguito l’intervento. Oltre al seminario, alla Bicocca è stata anche inaugurata la mostra “Medicina e Shoah. Dalle sperimentazioni naziste alla Bioetica”, realizzata dalla Sapienza in collaborazione con l’Unione e a cura di Silvia Marinozzi.

Il 16 ottobre è una data significativa perché sono 75 anni dalla deportazione degli ebrei di Roma. La Tradizione ebraica è caratterizzata dall’imperativo categorico Zachor, ricorda. “Noi ebrei – scriveva Martin Buber nel 1938 – siamo una comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuti uniti e ci ha permesso di sopravvivere…”.
Ricordare è pensare, E della Shoah resta ancora molto su cui riflettere. Si deve parlare delle camere a gas, delle officine hitleriane, delle sperimentazioni mediche perché i morti sono sì tutti uguali ma non lo sono i modi di morire come ha recentemente sottolineato Donatella di Cesare in un suo editoriale.
Non vogliamo che si ripeta né la fabbricazione dei cadaveri né, tanto meno, quell’esperimento del non-uomo, mai compiuto prima, in cui l’umanità stessa è stata messa in questione.
Sebbene sia insopportabile, occorre ricordare quel che è accaduto perché viviamo all’ombra di Auschwitz e, senza conoscere, si rischia di non ri-conoscere: l’odio per l’altro, il far trascurare i sintomi premonitori di altri stermini, IL
cripto nazismo, l’antisemitismo. La cancellazione delle tracce dello sterminio rischiano di far trascurare i sintomi premonitori di altri stermini.
Il progetto di una “nuova salute germanica”, come potrete vedere nella mostra, ha inizio alla fine degli anni venti ben prima della salita al potere di Hitler nel 1933 e vede coinvolti medici e studiosi di larga fama anche internazionale. Gli esperimenti nazisti sugli esseri umani non furono soltanto atti di crudeltà occasionale o monopolio di pochi medici SS, di cui Mengele resta la figura iconica, ma parte integrante del processo di distruzione razziale. La ricerca nazista non era priva di etica; era l’etica a essere stata plasmata dall’ideologia nazista: il dovere del medico non era più verso il singolo paziente, ma verso la nazione e la razza, come ha ben sottolineato Paul Weindling in un libro frutto di anni di ricerca dal titolo “Vittime e sopravvissuti”.
Riprendendo la seconda parte del titolo del titolo del convegno odierno “ricordare per educare” voglio portare alcune considerazioni.
La prima riguarda il valore della cultura come antidoto all’odio. Non sempre ciò e sufficiente Cultura è anche dibattere le opinioni di altri e accettare che altri abbiano una opinione diversa. La vera cultura non va mai contro il diritto alla vita e al rispetto dell’uomo.
Il fascismo e il nazismo hanno avuto origine in due paesi dalle tradizioni culturali raffinatissime come l’Italia e la Germania del ‘900. Gli accademici italiani hanno elaborato “il manifesto della razza” mentre quelli tedeschi “la nuova salute germanica” perdendo di vista i valori che sono alla base della morale e del rispetto dell’uomo. La seconda è il peso dell’obbedienza che è emersa in occasione della conferenza dei rettori che si è tenuta a Pisa il 20 settembre dal titolo “cerimonia del ricordo e delle scuse”.
Riporto parte del discorso del Rettore Mancarella
“L’incontro di oggi vuole assumere un senso di risarcimento morale da parte dell’istituzione che si rese corresponsabile della discriminazione: l’università obbedì. “Che cosa avrei fatto io allora? Avrei obbedito?”. Interrogativo senza risposta. Interrogativo utile, non solo a evitare ipocrisia e codarda prevaricazione, ma a riproporsi oggi con la sola variazione del tempo del verbo: “Che cosa farei io in una circostanza simile? Obbedirei?”
Nel luglio scorso ho letto una frase di un blogger serbo-bosniaco che pure riguardava un anniversario, quello del massacro di Srebrenica, altro orrendo esempio dell’odio per i diversi da sé – perché di questo stiamo parlando, ricordiamocelo bene. Dice: “La malvagità non ha bisogno di gente malvagia, ma di persone obbedienti”.
Mi ha subito evocato un’altra frase di un uomo a cui la mia formazione deve molto, un italiano – nato ebreo da famiglia ebraica, peraltro – poi prete e priore a Barbiana, Don Milani: “L’obbedienza non è più una virtù”.
Lascio queste parole alla riflessione di tutti assieme ad un commento di Liliana Segre ad una domanda sulla possibilità di paragonare la tragedia dei migranti con il periodo delle leggi razziste e lo stermino degli ebrei.
“I migranti sono persone che cercano di venire qua mentre noi ebrei eravamo braccati in casa nostra per la colpa di essere nati. Sono storie imparagonabili; certamente però l’indifferenza dell’Europa di allora e l’indifferenza di oggi costituiscono una similitudine accettabile”.
I problemi etici investono tutti gli aspetti della nostra vita
Vorrei concludere sottolineando il contributo al tema che in questi anni ha dato l’associazione medica ebraica di cui sono presidente onorario. Abbiamo posto particolare attenzione ai problemi riguardanti l’etica medica cercando di far conoscere da un lato quali siano le posizioni dell’ebraismo e dall’altro di approfondire le problematiche riguardanti le modalità d’insegnamento della bioetica e della deontologia, sia nell’ambito universitario che nel corso dello svolgimento dell’attività lavorativa. Abbiamo sviluppato questi temi partendo dall’etica della responsabilità termine che si è diffuso negli anni ottanta a seguito della pubblicazione dell’importante testo, con questo titolo, del filosofo Hans Jonas nel quale Jonas ha varcato la soglia della filosofia teoretica per procedere all’elaborazione di una filosofia pratica volta alla ricerca di una etica e di una politica adeguate alla moderna civiltà tecnologica.
Una decina di anni fa, l’Unesco ha varato un programma “Integration of medical ethics in medical education“ al quale hanno aderito fin dall’inizio accademici israeliani in particolare i prof. Carmi e Gesundheit che ho avuto l’opportunità di ascoltare in Israele e che abbiamo invitato a partecipare ad un incontro all’università di Tor Vergata nel 2009 dove è stato illustrato il progetto internazionale adattato alla realtà israeliana. Stanti le grosse difficoltà di poter interagire in ambito ministeriale ed universitario al fine di sviluppare questo progetto UNESCO, abbiamo rivolto il nostro impegno collaborando a sviluppare queste tematiche nell’ambito dei corsi di formazione continua per il personale sanitario in collaborazione con ospedali ed Ordini dei medici e università, l’ordine delle professioni infermieristiche e le diverse comunità religiose (cristiana, mussulmana, buddista ed ebraica) dando vita in Lombardia ad un gruppo “insieme per prenderci cura”.
Proprio dalla lezione della Shoah è partito il progetto della Sapienza che ha portato allo sviluppo della mostra che inaugureremo oggi e per la quale dobbiamo ringraziare la curatrice dott.ssa Silvia Marinozzi ed il comitato scientifico del quale fa parte il prof. Corbellini e gli amici Gai e Ottolenghi membri della nostra associazione. Visto l’importanza dell’iniziativa l’Unione delle comunità ebraiche italiane ha contribuito alla sua realizzazione, a formalizzare i rapporti col MIUR e si è fatta carico delle spese di trasporto per favorirne la presenza nei diversi atenei italiani.
Un ringraziamento particolare al professor Michele Riva e al rettore prof.ssa Cristina Messa che si si sono presi a cuore il convegno e che hanno coinvolto tutto l’ateneo permettendo la sua realizzazione.
L’auspicio è che da questo convegno possa svilupparsi una nuova iniziativa simile a quella già in atto alla Sapienza: un ciclo di lezioni a carattere interdisciplinare nel quale partendo dalla ricostruzione del contesto storico in cui la Germania nazista ha messo in pratica le teorie antropologiche – o pseudo tali – che avevano dato origine al cosiddetto “razzismo biologico” vengano ripercorse le tappe fondamentali attraverso le quali si è giunti alla bioetica contemporanea, dal processo di Norimberga al “Belmont Report”.

Giorgio Mortara, vicepresidente UCEI