La Nigeria

bassanoI nigeriani sono la comunità di stranieri sub-sahariani più numerosa in Italia – 106.069 secondo i dati ISTAT del 2018 – e con un record di richieste d’asilo politico nella penisola. Questa nazionalità nel dibattito politico e giornalistico degli ultimi anni è tra quelle che ha acquistato un’accezione maggiormente negativa e discriminatoria. Quando se ne parla viene collegata al racket, alla criminalità organizzata, allo spaccio di droga o alla prostituzione. Tanto che il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, in una convention di qualche settimana fa parlando di “vigili urbani allenati a rincorrere nigeriani” ha usato questo gruppo come sinonimo di “delinquenti”. Un’equazione simile del resto è stata fatta anche dal Presidente della Regione Campania, Vincenzo de Luca. La Nigeria, contemporaneamente, è spesso ripresa da ambienti neocon come un “avamposto” meridionale della cristianità destinato a soccombere con l’espansionismo islamista. Un paese, dunque, secondo questa panoramica offerta dai media, dove internamente avviene un imponente genocidio, e dove esternamente si “esporterebbero” pericolosi criminali. Oltre le semplificazioni, la Nigeria è un paese complesso, instabile, e contraddittorio come molti altri del Sud del mondo, il più popoloso dell’Africa con una forte crescita demografica ed economica, ma con una ricchezza, dovuta in gran parte allo sfruttamento petrolifero, distribuita in modo ineguale e un tasso di corruzione molto alto. I conflitti, le repressioni, il dissesto ambientale, e le guerre civili dalla fine del colonialismo britannico hanno più volte colpito il paese, come quello la guerra del Biafra, e del Delta del Niger che si protrae sino ai giorni nostri, con responsabilità anche di aziende occidentali. Per quanto alcune aree siano oggigiorno relativamente “calme”, altre, come quelle settentrionali, subiscono la violenza e i massacri di gruppi come Boko Haram – anche verso luoghi di culto o individui musulmani – o dei pastori Fulani che a causa della desertificazione delle proprie terre hanno spesso preso d’assalto quelle degli agricoltori vicini, per lo più cristiani. Il meridione e i gruppi etnici numericamente più consistenti però, come gli Yoruba e gli Igbo, con un ruolo politico e sociale da sempre molto influente nel paese, sono di religione cristiana (con alcuni piccoli gruppi in entrambe le etnie autoproclamatisi di discendenza ebraica), come per lo più sono cristiani i nigeriani residenti o profughi in Italia.

La produzione culturale della Nigeria è inoltre tra le più prolifiche dell’intera Africa, oltre al cinema con Nollywood e alla musica che ha influenzato anche l’altra sponda dell’Atlantico, il paese ha offerto alla letteratura di lingua inglese un numero consistente di autori premiati a livello internazionale da Chinua Abeche sino a Chimananda N. Adichie.

Ma ciò che forse più sconvolgerebbe gli stereotipi di molti nostri cronisti, sta nella realtà che se in Italia i nigeriani vengono quasi descritti come un gruppo con “la criminalità nel sangue” senza niente da offrire, un censimento dell’American Community Survey del 2016, rivela che essi sono il gruppo di immigrati più istruiti negli Stati Uniti, con oltre la metà di coloro in età pari o superiore ai 25 anni in possesso di titoli universitari o post-universitari. Risultati analoghi sono stati riportati nel Regno Unito, dove secondo The Spectator, gli studenti nigeriani oltre ad essere tra i gruppi di stranieri più istruiti e preparati – anche superiore alla media britannica, secondo l’Institute for Public Policy Research – sono insieme ai russi la popolazione in più rapida crescita nelle scuole private britanniche. Eppure ottenere un visto per gli Stati Uniti o affidarsi a trafficanti d’uomini diretti in Europa, spesso dipende più da fortuna e causalità che da questioni di ricchezza e prestigio familiare o tanto meno di merito. Dati e circostanze, che per quanto non sorprendenti, dovrebbero almeno creare una barriera ai pregiudizi e al linguaggio disumanizzante nei confronti degli emigrati al quale siamo ormai assuefatti. Dove questi sono ridotti a “nuda vita” nell’uso agambeniano, a rifiuti e “materiali umani” da smaltire tra un confine e l’altro senza nessuna possibilità di riscatto sociale.

Francesco Moises Bassano