Periscopio – L’impolitico

lucreziDi grande interesse l’articolo di Paolo Di Paolo, pubblicato su l’Espresso dello scorso 23 settembre, in occasione del centesimo anniversario della pubblicazione di un testo che ha segnato di sé la storia del pensiero europeo, ossia Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann. Il contributo ha il merito di mettere in luce i controversi aspetti della personalità del grande scrittore, e in particolare il cambiamento delle sue posizioni in tema di nazionalismo, dominio, violenza, razzismo. Il fatto che all’avvento del nazismo, nel ’33, egli abbia lasciato la Germania, per non farvi mai più ritorno, e le critiche da lui rivolte al regime (comunque alquanto tardive, e rese esplicite solo nel 1936), hanno infatti portato a mettere in ombra le sue idee precedenti, che col nazismo dimostravano un’indubbia sintonia, dal momento che il narratore si mostrava convinto assertore di una intrinseca sacralità e superiorità del popolo Tedesco (solo quando accompagnata alla parola “deutsch”, “Tedesco”, scrisse Mann nel 1918, la parola “Volk”, “popolo” esprime appieno il suo profondo significato e valore) e di una ineludibile missione dominatrice della Germania (uno stato “maschio”, che con le altre nazioni, “femmine”, deve comportarsi in quanto tale).
Ma ad avermi particolarmente interessato è stata una breve scheda, allegata all’articolo, scritta dal filosofo Roberto Esposito, che al tema dell’”impolitico” ha dedicato, anni fa, un libro di grande lucidità, profetico, per certi versi, della triste involuzione e degradazione della politica a cui assistiamo ai giorni nostri. Esposito spiega, con grande chiarezza, partendo dal pensiero di Mann, la differenza tra la categoria dell’impolitico e le altre due con le quali essa viene spesso confusa, ossia l’antipolitico e l’apolitico. Quanto alla prima, l’antipolitica, Mann chiarì che “è anch’essa una politica, giacché la politica è una forza terribile; basta sapere che esiste e già ci si è dentro, si è perduta per sempre la propria innocenza”. “Nel momento in cui si oppone alla politica – commenta Esposito -, facendone il proprio bersaglio, l’antipolitica parla il suo stesso linguaggio, non è che una forma mascherata di politica”. Il populismo, perciò, è politico, politicissimo.
Ma anche l’atteggiamento apolitico, in realtà, è interno alla politica, in quanto, con il rifiuto di una partecipazione attiva alla contesa politica, non fa altro che avallare e legittimare la politica esistente. Una politica passiva, anziché attiva, ma pur sempre politica.
Cos’è invece l’impolitico? Esso è il punto di vista, continua Esposito, di chi è consapevole che “la politica è il destino”, “un destino segnato dalla presenza inevitabile del male. Che si può contenere, limitare, ma con cui è necessario convivere… Il Bene non è traducibile in politica, come la Giustizia non può mai incarnarsi perfettamente nel diritto”. Perciò, “il compito dell’impolitico è custodire il senso tragico di questa distinzione”, sulle orme delle parole di Simone Weil: “Su questa terra, non c’è altra forza che la forza”. E “in quanto alla forza che non è di questa terra, il contatto con essa si paga solo la transito di qualcosa che assomiglia alla morte”.
Non voglio fare filosofia in pillole, non ne avrei assolutamente la competenza, ma queste parole (quelle di Mann, come quelle della Weil e di Esposito) mi sembrano molto importanti per chiunque voglia esaminare il problema della posizione dell’ebraismo nella storia. L’ebraismo è “impolitico” per definizione, sempre e dovunque, perché, come spiega Levinas, è sempre dentro e fuori dalla storia: è qualcosa, infatti, che ha la sua origine “al di qua della civiltà”, così come l’aspirazione alla Giustizia non può non entrare in conflitto, sempre, con la storia, perché “appare come un principio esterno alla storia”. Chi, per esempio, per difendere gli ebrei o Israele, sceglie di affidarsi a questa o quella forza politica, dentro o fuori da Israele, resterà fatalmente deluso, perché “la politica è una forza terribile”, “il Bene non è traducibile in politica”, “la Giustizia è esterna alla storia” e “su questa terra non c’è altra forza che la forza”.

Francesco Lucrezi, storico