Società – A Budapest il museo della memoria falsata

museo shoah budapestIn occasione di una conferenza accademica in Norvegia nel 1999, Mária Schmidt, storica ungherese e incrollabile sostenitrice del Governo Orbán, sostenne come “la Shoah sia una questione secondaria, marginale, nel contesto della Seconda guerra mondiale”. Un’affermazione grave, falsa e senz’ombra di dubbio pericolosa. Ma a renderla ancor più rilevante è il fatto che la storica in questione risulti attualmente come responsabile della mostra permanente del futuro museo della Shoah di Budapest, che verrà inaugurato il prossimo anno, dopo svariati anni di polemiche e ripetuti rinvii. Infatti, a metà settembre Gergely Gulyás, portavoce del Primo ministro Viktor Orbán, ha annunciato che il nuovo museo della Shoah, rinominato House of Fates, aprirà finalmente le proprie porte nel corso del 2019. Per la sua inaugurazione il governo ha già stanziato 2 miliardi di fiorini, pari a circa 6 milioni di euro, che verranno utilizzati dall’EMIH, Congregazione Ebraica Ungherese, affiliata al movimento Chabad Lubavitch e guidata dal Rabbino filo-Orbán Slomó Köves, e dal Centro di Ricerca storica dell’Europa Centro- Orientale, presieduta, appunto, dalla storica Mária Schmidt. Per diversi motivi, in passato, tanto la comunità ebraica ungherese (MAZSIHISZ), quanto la comunità scientifica, si erano vivacemente opposti all’iniziativa del governo Orbán che ha come obiettivo, neppure tanto celato, quello di riscrivere la storia recente del paese danubiano, assolvendo il popolo ungherese dal suo ruolo fondamentale nell’annientamento della comunità ebraica magiara. Un obiettivo revisionista, quello di Viktor Orbán, portato avanti sin dalla sua seconda rielezione a Primo ministro nel 2010. Infatti, da allora l’esecutivo ungherese ha cambiato più volte il direttore dell’attuale museo della Shoah, fondato nel 2004, senza però riuscire a modificare i contenuti della sua esibizione permanente. Così, nel 2013 il governo ha iniziato a lavorare al progetto del nuovo memoriale, i cui contenuti sono stati definiti dall’Accademia delle Scienze ungherese come “professionalmente infondati, a volte controversi e sicuramente inaccurati”. “Non esiste alcuna colpa collettiva”, ha detto Gulyás, portavoce del Premier Orbán, in occasione della conferenza stampa sul lancio del nuovo museo. Dimenticando, forse, che l’Ungheria fu il primo paese in Europa, nel 1920, ad imporre il numerus clausus nelle università per gli studenti ebrei, e di come perfino le SS di stanza a Budapest rimasero stupite dall’impazienza, l’entusiasmo e la velocità con cui le autorità ungheresi accolsero l’idea di una soluzione finale per l’ebraismo ungherese. Non a caso, nell’arco di appena tre mesi, da fine aprile a metà luglio 1944, furono deportati nei campi di sterminio circa 440.000 ebrei. Inoltre, mentre gli zelanti uomini di polizia ungheresi deportavano gli ebrei in tutto il paese, a Budapest veniva istituito un gigantesco ghetto, che arrivò ad accogliere fino a 200.000 persone. Si calcola che dal novembre 1944 fino al gennaio 1945, tra i 10 e i 15 mila ebrei vennero barbaramente uccisi dai membri delle Croci Frecciate, movimento neonazista ungherese posto al potere dai tedeschi dopo l’arresto dell’ammiraglio Horthy. Uno dei metodi coi quali le Croci Frecciate procedevano all’uccisione di massa degli ebrei di Budapest, consisteva nel portare piccoli gruppi di persone sulle rive del Danubio, per poi fucilarli e gettarne il cadavere nel fiume. L’obiettivo del governo è, dunque, quello di rivedere questa parte di storia, cercando di assolvere le responsabilità collettive della nazione ungherese nell’esecuzione della Shoah. Già in passato Orbán ed il suo esecutivo finirono sotto i riflettori per il monumento in memoria alla Shoah, inaugurato nel 2014 nella centralissima Piazza della Libertà a Budapest. Infatti, il monumento in questione mostra allegoricamente un’aquila rapace (la Germania) che minaccia l’Arcangelo Gabriele (l’Ungheria), innocente ed indifeso. Il monumento vuole così negare le responsabilità dell’Ungheria, alleata dei nazisti, nello sterminio degli ebrei. Una menzogna che non può, e non deve, passare inosservata.

Michele Migliori, Pagine Ebraiche, novembre 2018