Società – Mettere in guardia, mentre il disastro incombe
“Mi comprerò un binocolo molto potente. Al riparo da occhi indiscreti scandaglierò l’orizzonte del mare. Sarò sempre di guardia. Fintanto che tutto questo durerà, ci sarò pure io. Proprio come tutti gli altri. Ma quando un giorno scoprirò delle lunghe navi grigie laggiù, in fondo all’orizzonte, sarò il primo a dare l’allarme”. Sono le righe di chiusura di Amore tardivo, racconto di Amos Oz che costituisce la prima parte di Finché morte non sopraggiunga (uscito in queste settimane in Italia per Feltrinelli per la traduzione di Elena Loewenthal). Scritto nel 1970, quando Oz era poco più che trentenne, Amore tardivo ha un doppio registro: è la scrittura di un giovane trentenne, che si trova a dover fare i conti con un cambio d’epoca (significativamente lo pubblicherà nel 1983, quando la realtà politica, sociale e politica intorno gli sembra subire un’accelerazione tanto da sentire di vivere in un paese in cui le varie parti sociali, politiche, culturali non si parlano più tra loro) che trasporta questa condizione nella mente di un settantenne che racconta se stesso come sopravvissuto, alle soglie di una condizione ultima di vita per la quale il problema è come trovare una funzione per sé in una realtà sociale e culturale che avverte profondamente cambiata rispetto a quella della sua prima e seconda vita. Realtà che gli appare ora, anche per questo «in pericolo», perché affetta da amnesia, rispetto al proprio passato, e ebbra della sua nuova potenza, e per questo dimentica delle proprie debolezze. Soprattutto distaccata dal suo mito delle origini. Società di cui avverte la fragilità e che ritiene, perciò, bisognosa di una cura di tutela. Non solo per proteggere se stessa, ma anche contro la se stessa di oggi. Stenteremo in queste pagine a riconoscere Tel Aviv, che oggi immaginiamo o percepiamo come realtà dell’hi-tech, realtà della connessione, strutturata intorno alla industria 3.0 e in viaggio verso le sfide del lavoro 4.0., e che in queste pagine appare soprattutto nell’umidità, comunque immersa nella dimensione industriale 1.0. Anche per questo Amore tardivo può sembrare, a una prima lettura, un racconto che arriva fuori tempo massimo. Non credo. Nonostante i suoi 48 anni, queste pagine parlano ancora alle sfide di oggi, tra la dimensione di voler trovare una continuità con il passato e la necessità di trovare qualcosa da fare, e da dire, per non essere fuori dal tempo-ora. In breve di pensarsi ancora parte di una società attiva, e di non essere per questo solo un residuo del tempo passato, sopravvissuto oltre il proprio tempo. Può darsi che la condizione sia quella di qualcuno che grida cercando di evidenziare l’iceberg che nessuno vede a una nave in rotta verso lo scontro diretto. Una funzione e un vissuto da «uomo di mezzanotte» che prova a mettere in guardia mentre intorno tutti brindano al successo. Ma resta lo stesso il fatto che quella condizione indica una scelta che è quella di non abbandonare, di non pensare – proprio perché s’intravede il disastro incombente, nella indifferenza intorno o peggio nell’entusiasmo incosciente – di salvarsi andandosene o, differentemente, dimettendosi. Forse anni fa avremmo letto queste pagine pensando che quella scena era un’eccezione. Oppure un esercizio letterario, un puro divertissement. Non credo.
David Bidussa, Pagine Ebraiche, novembre 2018