Storia – Ecuador, sconosciuta terra di rifugiati

equadorDaniel Kersffeld / LA MIGRACIÓN JUDÍA EN ECUADOR. CIENCIA, CULTURA Y EXILIO. 1933-1945

Quando si pensa all’emigrazione italiana, ebraica e non, in America Latina, i primi paesi che vengono in mente sono l’Argentina, il Brasile e, a volte, persino il Cile. Eppure, tra gli Stati che accolsero rifugiati ebrei italiani durante gli anni delle Leggi razziste e del Secondo conflitto mondiale, vi fu anche un piccolo paese andino, che all’epoca dei fatti contava appena 3 milioni di abitanti: l’Ecuador. La storia di questa particolare migrazione, esigua nei numeri ma imponente per il contributo civile ed intellettuale che gli ebrei italiani svolsero nel paese d’accoglienza, non è mai stata prima d’ora affrontata dalla storiografia, tanto italiana quanto ecuadoriana. Tuttavia, quest’estate la lacuna è stata colmata da un’importante monografia dal titolo: “La migrazione ebraica in Ecuador. Scienza, cultura ed esilio 1933-1945”, dello storico argentino Daniel Kersffeld, edito dall’Accademia Nazionale di Storia Ecuadoriana. L’obiettivo del libro è quello di ripercorrere la storia dell’emigrazione intellettuale ebraica in Ecuador dall’ascesa del Terzo Reich fino al termine della Seconda guerra mondiale, affrontando ogni aspetto legato al fenomeno, dalle politiche migratorie in vigore in quegli anni, al dibattito politico che l’immigrazione ebraica suscitò nella società ecuadoriana, fino ad arrivare ad un’analisi dettagliata dell’apporto che la neonata comunità ebraica, formata da rifugiati d’origine europea, diede all’innovazione ed allo sviluppo dello stato. Secondo le stime ufficiali, tra il 1933 ed il 1945, i rifugiati ebrei arrivati in Ecuador dall’Europa furono 3.200, perlopiù provenienti da Germania, Austria, Cecoslovacchia e Italia, mentre nel dopoguerra il numero crebbe fino a raggiungere un massimo di 4.000 persone nel 1950. Se in termini assoluti la cifra può sembrare ridotta, vista in chiave comparativa non può che denotare una politica migratoria aperturista da parte della classe dirigente ecuadoriana. Infatti, negli stessi anni i rifugiati ebrei giunti in paesi ben più popolosi ed economicamente più sviluppati come Colombia e Messico, furono rispettivamente appena 3.971 e 1.850. La politica di apertura del governo ecuadoriano aveva come scopo quello di attirare nel paese professionisti nel settore dell’agricoltura, dell’industria e della medicina, all’epoca ancora poco sviluppati, ma anche intellettuali e scienziati appartenenti ad ogni disciplina, i quali potessero arricchire il panorama culturale nazionale. Così, nel 1939 giunse nel paese il primo gruppo di rifugiati ebrei italiani, tra i quali vi erano anche Michelangelo Ottolenghi, uno dei primi veterinari in Ecuador, e Alberto Di Capua, ingegnere e chimico. Un anno più tardi giunse poi un secondo gruppo, del quale faceva parte Costanza di Capua, moglie di Alberto, rinomata antropologa che per prima studiò le tradizioni folcloristiche dell’Ecuador, scrivendo libri che diventeranno pietre miliari nello studio di questa disciplina. In questo contesto, e grazie all’iniziativa di un gruppo di ebrei italiani, nel 1940 nacque a Quito il Laboratorio Industriale Farmaceutico Ecuadoriano (LIFE), prima ed unica casa farmaceutica del paese, ancora oggi in funzione e leader del settore. Nel suo libro, Daniel Kersffeld dedica a questa coraggiosa impresa un ampio capitolo, ricostruendo ogni passo del team di chimici, biologi e medici, che crearono in Ecuador un’azienda destinata a segnare per sempre il mercato farmaceutico nazionale. Gli ebrei italiani giunti nel paese andino appartenevano dunque ad ampi settori intellettuali e scientifici, ma non solo. Tra di loro vi furono anche militari, come il padovano Max Oreffice, medici, come il chirurgo torinese Nino Vittorio Bedarida, e statistici, come Carlos (Carlo) Procaccia. Quest’ultimo, una volta giunto in Ecuador divenne prima impiegato del Ministero delle Finanze, e successivamente Direttore Generale di Statistica presso la Banca Centrale. Fu grazie a Procaccia se nel 1950 si svolse il primo censo della popolazione ecuadoriana. Oltre alla ricostruzione della vita ebraica italiana nel paese andino, l’autore del libro ha il merito di aver raccolto presso gli archivi del Ministero degli Esteri dell’Ecuador una serie di lettere e telegrammi che analizzano le reazioni della diplomazia ecuadoriana agli sviluppi della politica antisemita del fascismo italiano. I documenti in questione riguardano perlopiù scritture private tra l’ambasciatore ecuadoriano a Roma, Luis Antonio Peñaherrera, ed i Primi ministri che si susseguirono alla guida del paese andino tra il 1938 ed il 1945. A questo proposito, risulta di estremo interesse la storia di José Morpurgo, ebreo triestino e console onorario della Repubblica dell’Ecuador nel capoluogo giuliano, accusato di aver falsificato e rilasciato 21 passaporti ad ebrei italiani e non, consentendo loro di fuggire dall’Italia. A causa di quest’accusa, il Morpurgo venne sollevato dal suo incarico il 18 dicembre 1938, e alla vigilia di Natale dello stesso anno venne ritrovato senza vita nel suo appartamento, per cause ignote. Insomma, il libro di Daniel Kersffeld ha il grande merito di riportare alla luce una storia italiana ed ebraica ormai dimenticata, ricostruita attraverso le nobili gesta degli uomini e delle donne che, fuggiti dall’Italia alla ricerca di un futuro migliore, trovarono nell’Ecuador la propria nuova patria, al cui sviluppo culturale e scientifico contribuirono notevolmente.

Michele Migliori, Pagine Ebraiche, novembre 2018