Orizzonti – Il nuovo Museo dell’Olocausto che assolve gli ungheresi
Il nuovo Museo dell’Olocausto di Budapest dovrebbe aprire nel marzo del 2019 in occasione del 75° Anniversario della deportazione degli ebrei ungheresi, ma sono molte le polemiche che precedono la sua apertura. Non ultimo il fatto che l’opera, costata 18 milioni di dollari, è pronta dai 2014. Israele e molte organizzazioni ebraiche contestano la decisione di minimizzare, all’interno della mostra, il ruolo dei governi ungheresi dell’epoca nella deportazione. Anche perché i rastrellamenti furono molto rapidi: dopo l’invasione da parte delle truppe tedesche nel marzo del 1944 565mila ebrei ungheresi, nel giro di poche settimane, furono caricati sui treni blindati e portati nel campo di sterminio di Auschwitz. Tra i più critici su come è stato allestito il museo c’è il direttore della Biblioteca dello Yad Vashem di Gerusalemme, Robert Rozett: «C’è una forte tendenza in Ungheria oggi a presentare la deportazione degli ebrei ungheresi durante l’Olocausto come un crimine esclusivamente tedesco e, fatta eccezione per un piccolo gruppo di teppisti ungheresi, a ignorare il ruolo e la responsabilità delle autorità e della società ungherese». La difesa delle autorità Il governo Orban smentisce le accuse di aver voluto minimizzare le responsabilità del Paese e ha ricordato che stanzia 1,5 milioni di euro per combattere l’antisemitismo in Europa. Ma la battaglia del premier contro l’Università fondata a Budapest dal miliardario George Soros, ebreo di origini ungheresi, favorevole all’immigrazione, ha visto la capitale tappezzata di manifesti contro il magnate e ha fatto nascere sospetti di antisemitismo nei confronti dello stesso Orban. A questo si aggiunge il fatto che lo stesso premier ha annunciato, parlando in Parlamento, che l’apertura ufficiale del museo potrebbe slittare ancora, almeno fino a quando non cesseranno le polemiche su come è stato allestito. Questa «assoluzione» degli ungheresi fa seguito alla contestata legge polacca del marzo scorso che punisce con il carcere fino a tre anni chiunque parli di «campi polacchi» a proposito dei lager costruiti e gestiti dagli occupanti nazisti e anche chi attribuisca complicità a singoli polacchi nell’esecuzione della Shoah. In ogni caso, la Casa dei Destini, è un’opera imponente che si può vedere a più di un chilometro di distanza. Una gigantesca stella di David è sospesa tra due torri e segna l’ingresso della struttura fatta tutta in cemento e vetro.
Francesco Iannuzzi, La Stampa, 9 dicembre 2018