Gerusalemme secondo Matteo

torino vercelliLa breve visita di Matteo Salvini in Israele, al netto dei giudizi politici formulati in base alla disposizione d’animo favorevole o negativa nei suoi confronti, si inscrive dentro una strategia ampia e composita, non solo italiana, che vede in qualche modo protagonista lo stesso attuale titolare del dicastero degli Interni. La premessa è duplice, basandosi infatti su due presupposti ancora da verificare nella loro effettiva congruità. Il primo di essi è che l’ordinamento e gli equilibri internazionali di lungo periodo, emersi con la fine della Seconda guerra mondiale e consolidatisi in età bipolare, si stiano sgretolando una volta per sempre. Per farla breve, dal Novecento come “secolo americano” si starebbe passando, dopo un periodo di incerto multipolarismo imperfetto avviatosi alla fine degli anni Ottanta, ad un secolo ad egemonia cinese o del Sud-Est asiatico. In un tale quadro, tutti i paesi – o comunque quelli tra di essi che nel consesso internazionale hanno la forza di dire e fare qualcosa di significativo – sono chiamati ad un riposizionamento strategico, dal quale dipende il loro futuro non solo politico ma anche economico e, in immediato riflesso, civile. Si tratta di una prospettiva di lungo periodo sulla quale, tuttavia, il fronte delle forze sovraniste, in sé altrimenti assai composito se non intrinsecamente conflittuale, sta cercando di articolare in Europa indirizzi strategici da condividere al proprio interno. In gioco è il dare sostanza ad una piattaforma comune, che permetta di superare la fase transitoria, in sé fragile, delle mere intenzioni. A tale riguardo, mai sopravvalutare l’intelligenza (politica) degli attori in campo ma non per questo sottovalutarne preventivamente e pregiudizialmente le eventuali capacità di azione in divenire. Si inscrive in questa cornice, pertanto, la decisiva valutazione che l’Unione europea sia un organismo comunitario destinato a tramontare, sia pure in un lento ma non indolore declino. Il sovranismo si è candidato da tempo nell’accelerarne la dissoluzione politica, ritenendo molto più premianti, in prospettiva, accordi bilaterali basati sulla valutazione, di caso in caso, dei mutevoli rapporti di forza e del campo di interessi nel quale collocarsi. Salvini sta identificando i suoi interlocutori, anche perché da questa azione di reciprocità dipende il futuro politico suo e del ceto politico con il quale è destinato ad interagire per i tempi a venire. Benjamin Netanyahu, per intenderci, si inscrive completamente dentro questo quadro. È infatti esponente di una “nuova destra” (non importa se sia sulla scena pubblica da più di vent’anni), che si è lasciata alle spalle non solo parte della storica matrice likudista ma anche la sfortunata stagione neoconservatrice, tramontata prima con Obama e sotterrata poi soprattutto da Trump. La sua dialettica con Reuven Rivlin ne è un po’ la cartina di tornasole, dal momento che quest’ultimo – invece – è per più aspetti il depositario di posizioni maggiormente tradizionali, riallacciandosi ancora a molti elementi della cultura politica e del retaggio storico del “sionismo revisionista” (un’ accezione impropria, quest’ultima, ma necessaria per interdersi). Nel quadro strettamente europeo per Salvini è poi indispensabile tradurre in moneta politica spendibile, ovvero in relazioni durature con interlocutori ben identificati, non solo il marcato euroscetticismo – che potrebbe tradursi, in un ipotetico futuro, qualora ne maturassero le condizioni, anche nella scelta di uscire dal circuito dell’euro – ma anche gli altri due assi della sua proposta (il blocco dei processi migratori e la “lotta alle élite”). Ciò implica che oltre a figure mediane e relativamente deboli sul versante delle relazioni continentali, come l’ungherese Viktor Orbán, oppure l’austriaco Sebastian Kurz, il secondo molto freddino nei confronti degli italiani anche perché sempre più orientato verso i vecchi e rassicuranti lidi del centrismo popolare, si aggiungano partner di maggiore spessore ed incidenza, a partire dalla Francia di Marine Le Pen, non più solo ipotetica vincitrice di elezioni a venire. La futura visita nel Brasile di Jair Bolsonaro, quando dovesse verificarsi, sarà il segno che Salvini prosegue nella tessitura di questa rete di relazioni non occasionali, laddove il vecchio “atlantismo” è destinato ad essere definitivamente sotterrato, a favore di altre opzioni. Il secondo presupposto, che si è misurato proprio durante il viaggio in Israele, è che l’asse su cui il sovranismo giocherà tutte le sue carte elettorali e ideologiche, dopo avere già da tempo svuotato una parte del serbatoio della vecchia sinistra (una partita le cui dimensioni in Italia meglio si comprenderanno quando il “contratto” di interessi tra Lega per Salvini e Movimento cinque stelle dovesse tramontare, portando ad elezioni anticipte che, in tutta probabilità, si svolgeranno l’anno entrante), sarà la ricerca e la caccia al voto centrista e conservatore, cercando di orientarlo verso orizzonti compresi nelle logiche della nuova destra. L’agenda della quale è in via di costruzione, basandosi su un unico presupposto condiviso, ovvero il crescente affaticamento delle democrazie liberali e sociali. Netanyahu, che ha peraltro una storia politica tutta sua, solo in minima parte riconducibile – e quindi comparabile – alle dinamiche europee e italiane, ha tuttavia anticipato politicamente quella tendenza, poi recepita anche nel nostro Paese. Si tratta di “radicalizzare il centro”, riformulandone l’identità su questioni indice, come le relazioni internazionali, quelle interne e sui temi rispetto ai quali si misura la distinzione residua nell’asse sinistra/destra dentro la crisi dei sistemi di rappresentanza tradizionali. Netanyahu non è “il nuovo che avanza” ma piuttosto colui che dice ciò che ci si vuole lasciare alle spalle, anche rispetto al proprio campo di appartenenza. Sta in questo novero la sostanziale perplessità – che si traduce a volte in moti di insofferenza – verso una parte dei tradizionali istituti della democrazia rappresentativa, ritenuti oramai inadeguati rispetto allo scenario politico internazionale (e di riflesso ai nuovi equilibri interni) che si va configurando. Salvini, al di là degli interrogativi sulla maggiore o minore sincerità rispetto alle sue prese di posizione riguardo a certi aspetti delle questioni mediorientali, e quindi nei confronti di Gerusalemme, identifica nel premier israeliano un interlocutore forte, con una sua acquisita e puntellata autorevolezza. Cosa sarà di tutto ciò, soprattutto cosa ne deriverà concretamente, potrà solo il tempo a venire dirci qualcosa. In quanto le variabili in gioco sono veramente tante, solo in parte ponderabili razionalmente.

Claudio Vercelli