Controvento
Riconoscimento facciale

kasamLa nuova frontiera della tecnologia si chiama riconoscimento facciale. C’è chi lo ha già sperimentato con la nuova generazione di Smartphones che si sbloccano inquadrando il tuo volto. Comodissimi, non c’è chi dire… Ma che cosa succederà quando questa tecnologia diventerà di uso comune e, soprattutto, verrà applicata alle telecamere stradali e nei luoghi pubblici, che saranno così in grado di taggarci in ogni nostro movimento?
Finora, le telecamere ci riprendono ma non sanno chi siamo. In caso di crimine la polizia può rivedere migliaia e migliaia di ore di filmati e cercare di rintracciare presenze e identificare i sospettati: un lavoro che richiede tempo, competenza, pazienza, anche se oggi ci sono algoritmi sviluppati in Israele che consentono di eliminare tutto ciò che non interessa e vedere solo i movimenti di ciò che si cerca. Per esempio: un bambino si perde in uno shopping mall. La madre precisa che indossa una maglietta verde. Di colpo, tutti i filmati si svuotano, lasciando visibile solo chi è vestito di verde. In pochi minuti il bambino viene rintracciato. Ovviamente, se fosse vestito di nero o di bianco sarebbe più difficile: un buon motivo per far indossare capi di colori squillanti quando portiamo i nostri figli in luoghi affollati.. almeno là dove l’algoritmo è in funzione (gli israeliani lo hanno venduto alla polizia di Detroit che, grazie a questo algoritmo e ad altri analoghi, ha visto drasticamente ridursi i crimini insoluti).
Che cosa succederà quando basterà dare in pasto al computer il viso di un ricercato perché, come un cane da fiuto, questo lo rintracci stanandolo sulla rete web mondiale? E quando le telecamere dei poliziotti saranno dotate di riconoscimento facciale? Certo, alcuni tipi di crimine potrebbero forse essere prevenuti: pensiamo per esempio al fanatico di Strasburgo, che era conosciuto e ritenuto altamente pericoloso dalla polizia. Con il riconoscimento facciale sarebbe possibile in ogni momento seguire i suoi movimenti, vedere con chi si incontra, sapere quando si porta addosso un’arma da fuoco e comunque braccarlo appena cerca di scappare. Ma per chi criminale non è, quale sarà l’impatto di queste tecnologie prossime venture? Già il Grande Fratello conosce i nostri gusti, i nostri viaggi, le nostre spese, le nostre preferenze cinematografiche, ed è in grado di dire quanti minuti passiamo quotidianamente davanti allo schermo del computer e del telefono. E anche di predire se ci sta venendo il Parkinson da tremori della nostra mano ancora non percettibili, o se siamo depressi analizzando la diminuzione della nostra attività fisica o della nostra presenza in rete. Si chiama passive profiling.
Immaginiamo adesso che qualcuno dei dittatori più o meno democraticamente eletti, dei razzisti dichiarati, dei fanatici religiosi, o semplicemente spie, investigatori privati in una causa di separazione, dispongano della micidiale arma del riconoscimento facciale. Nessuno avrà più scampo. Basteranno i comitati etici, le normative restrittive sull’utilizzo di queste tecnologie a salvaguardarci? E prevarranno i benefici (sicurezza, ordine, ma anche possibilità di prevenire le malattie, di far vedere i ciechi, di ostacolare i comportamenti criminali) o prevarrà l’utilizzo negativo, che ci renderà tutti schiavi di un padrone che non riusciremo nemmeno a identificare? Sarà più importante essere liberi da, rispetto all’essere liberi di come acutamente predisse la scrittrice Margaret Atwood nel suo capolavoro “Il racconto dell’ancella”?

Queste considerazioni sono state motivate dalla lettura di un interessante articolo apparso nei giorni scorsi sulla rivista New Yorker, che racconta l’utilizzo del riconoscimento facciale negli allevamenti di mucche da latte. Grazie alla tecnologia mesa a punto da una start up di Dublino, Cainthus, che utilizza telecamere di sorveglianza e computer vision avvalendosi del deep learning (un tipo di apprendimento dell’intelligenza artificiale che si basa sulle reti neurali), gli allevatori possono monitorare i comportamenti della mucche, evitare il bullying delle più forti sulle più deboli e alla fine produrre più latte. Non è più necessaria la presenza fisica nella fattoria: i proprietari seguono tutto dagli schermi dei computer e, nelle previsioni per il prossimo futuro, faranno intervenire i robot invece degli esseri umani. La sperimentazione della facial recognition sulle mucche presenta molti vantaggi, anche perché le mucche non si possono mimetizzare dietro ad occhiali da sole, cappelli a tesa larga, non possono assumere avvocati e intentare cause miliardarie per infrazione della privacy. Una delle osservazioni più interessanti emerse dalla ricerca è che le mucche dissimulano in presenza dell’uomo le loro sofferenze, perché hanno capito che se sono malate possono venire soppresse. Le telecamere non destano sospetti, e quindi per gli allevatori è molto più facile identificare eventuali problemi. Ma questo non vale solo per le mucche, vale anche per noi. Tutti noi modifichiamo i nostri comportamenti quando sappiamo di essere osservati. Che ne sarà della nostra dignità e della nostra immagine, quando, senza esserne consapevoli, saremo ripresi e riconosciuti anche nella nostra intimità? E non è un problema avveniristico. Nel maggio scorso quarantadue organizzazioni no–profit inviarono a Jeff Bezos, l’amministratore delegato di Amazon, una lettera in cui richiedevano che la compagnia smettesse di vendere il suo sistema di riconoscimento facciale, Rekognition, ai governi e alle agenzia governative. Anche perché niente garantisce che persone totalmente innocenti non vengano schedate (dopo tutto gli algoritmi sono scritti da esseri umani, e sono condizionati da tutte le prevenzioni di chi li crea, sessismo e razzismo inclusi).
In Cina ci sono 200 milioni di telecamere di sorveglianza. Il riconoscimento facciale viene implementato nell’ambito delle geolocalizzazione, delle transazioni digitali, e anche da un sistema di social rating, che prevede facilitazioni economiche, lavorative, di studi, per chi può dimostrare di avere comportamenti socialmente apprezzati –cedendo il diritto alla privacy. La cosa preoccupante è che sono numerosissime le persone che acconsentano ad essere monitorati in ogni attimo della loro vita, pur di avere qualche vantaggio.
E noi che cosa faremmo? Se fossimo senza lavoro, se ci fosse promessa una brillante carriera, una vita migliore per i nostri figli, accetteremmo di assoggettarci volontariamente al social rating? E nel mondo futuro, l’anonimato sarà ancora possibile?

Viviana Kasam

(17 dicembre 2018)