Ritiro dalla Siria, la scelta Usa
mette in crisi gli alleati

rassegnaL’annuncio del Presidente Usa Donald Trump di voler lasciare la Siria sta generando diverse difficoltà agli alleati americani nell’area mediorientale. Una scelta non concordata con il capo del Pentagono, il generale James Mattis, che per protesta si è dimesso. “Poiché lei ha il diritto di avere un Segretario alla Difesa le cui visioni siano meglio allineate con le vostre su queste e altre materie, credo che per me sia giusto lasciare l’incarico”, la lettera di dimissioni di Mattis a Trump, riportata dal Corriere. Secondo La Stampa, la mossa del presidente Usa vista dagli alleati fa crollare “l’intera linea per il Medio Oriente concordata con Washington, senza la proposta di un piano B per combattere l’Isis, contenere l’Iran, e impedire alla Russia di prendersi il Paese. Il timore ora è che Trump faccia lo stesso in Afghanistan, aprendo la porta anche alla resurrezione dei talebani e di Al Qaeda”. Tra i paesi più preoccupati, Israele che considera la presenza dell’Iran in Siria come una minaccia esistenziale. “Gli Usa rispondono che terranno a bada gli ayatollah con altri mezzi, ad esempio le sanzioni, – spiega La Stampa – ma non è facile capire come potranno spiegare allo Stato ebraico la logica del ritiro, che lascia un vuoto militare dove presumibilmente si piazzeranno Hezbollah e la Guardia rivoluzionaria”. Il Foglio definisce la scelta di Trump come un regalo all’Iran: “il ritiro americano dalla Siria è un regalo agli ayatollah che nella loro politica espansionistica ambiscono a un vassallaggio completo della terra siriana, mentre (ri)trasformano il sud del Libano in una piattaforma di lancio di missili contro Israele ed estendono la loro influenza sul governo iracheno”.

Libano, minacce dal sottosuolo. Accompagnati dai soldati dell’Unifil, diversi giornalisti internazionali hanno raccontato in questi giorni (e ripreso) i tunnel scavati da Hezbollah per infiltrarsi in territorio israeliano. “Potrebbero essere stati scavati molti anni fa. Ciò potrebbe significare che oggi sono in disuso e l’allarme sarebbe limitato, se non nullo. Ma potrebbero anche essere armi dormienti, pronte all’uso quando necessarie, gallerie d’attacco potenziali Vanno scoperte, valutate per capire se davvero attraversano la Blue Line (la linea di divisione tra i due Paesi, ndr) verso Israele e chiuse. Ci attendiamo risposte convincenti dalle autorità militari libanesi”, le dichiarazioni raccolte dal Corriere di Stefano Del Col, il generale italiano che comanda i circa 10.500 effettivi del contingente delle Nazioni Unite (Unifil) nel Libano del sud. Per Israele, i tunnel sarebbero la prova che Hezbollah starebbe preparando un’altra offensiva. “Non è però d’accordo il 62enne Hassan Dabuk, dal 2010 sindaco di Tiro e massimo rappresentante politico sciita locale”, scrive il Corriere dal suo reportage sul confine libanese: “Non vedo alcun segnale di guerra imminente. Qui siamo tutti concentrati sulla ricostruzione. Hezbollah sa bene che verrebbe messo all’indice dalla sua gente se causasse un’altra ondata di distruzioni”. Intanto Israele continua al di là del confine nella sua operazione per mettere in sicurezza l’area e distruggere i tunnel del movimento terroristico libanese (Repubblica).

Minacce russe. “Il mondo sta sottovalutando il pericolo di una guerra nucleare”. A dirlo il presidente russo Vladimir Putin, parlando nella conferenza stampa di fine anno. Secondo Putin lo “sfacelo” del sistema di deterrenza internazionale nella corsa globale agli armamenti, acuito dalla decisione degli Usa di uscire dal trattato Inf, “aumenta l’incertezza, è difficile immaginare come evolverà la situazione”. “Abbiamo sviluppato nuove armi, ma la superiorità russa nella difesa missilistica serve solo a mantenere la parità strategica – ha aggiunto -. Se arriveranno i missili in Europa, poi l’Occidente non squittisca se reagiremo: dobbiamo garantire la nostra sicurezza, ma confido che l’umanità avrà abbastanza buon senso per evitare il peggio” (Corriere).

Noa, ambizioni politiche. “Mi piacerebbe essere la ministra della cultura di Israele o rappresentare Israele alle Nazioni Unite. Oggi mi sembra impossibile, dato il terribile clima politico che si vive nel mio Paese, ma sono un’attivista e credo nel cambiamento. Un cambiamento arriverà”. Sono le ambizioni politiche della cantante israeliana Noa, raccontate al Corriere in attesa di ricevere oggi il premio “Pellegrino di pace” ad Assisi, per il suo impegno in Medio Oriente e per il messaggio pacifista che veicola attraverso la sua musica.

In piazza contro Orban. In un reportage dall’Ungheria, Repubblica racconta le voci dell’opposizione, costruita dal basso, contro il governo Orban. L’ultima legge approvata dal suo esecutivo ha scatenato le proteste di piazza: “La norma che permette alle aziende di pretendere fino a 400 ore di straordinario e rinviarne il pagamento fino a tre anni dopo è servita a trascinare in piazza gli ungheresi ed è riuscita a ricompattare un’opposizione frammentata. Ma resta da vedere se i partiti saranno in grado davvero di superare le differenze per unirsi contro il regime dell’uomo forte Viktor Orbán”.

Segnalibro: il dottor Sonne in Italia. “Abraham Sonne scrisse solo undici poesie in ebraico. Ma per generazioni di intellettuali è stato un mito. Grazie alla sua cultura sconfinata. E ai suoi silenzi”, racconta oggi il Venerdì di Repubblica, parlando dell’intellettuale e poeta Avraham Ben-Yitzhak, noto come “il dottor Sonne”. “Ora finalmente – prosegue il Venerdì – in Italia arriva un libro, splendido, che raccoglie questa vicenda biografica, le poesie e tutti gli abbozzi e frammenti ritrovati: lo pubblica la giovane casa editrice Portatori d’acqua di Pesaro, nell’ottima cura di Anna Linda Callow e Cosimo Nicolini Coen. Il libro contiene fra l’altro la testimonianza della poetessa israeliana Lea Goldberg amica di Sonne, la quale rivela qui per la prima volta notizie inedite su di lui”. “Anche per lei il dottor Sonne è stato quello che è stato per me? La persona più importante della mia vita?”, chiederà Elias Canetti a Goldberg nel 1951, dopo la morte del poeta.

Daniel Reichel twitter @dreichelmoked