Correre e rincorrere
L’impressione diffusa, e ripetuta, è quella di ragionare sul presente usando categorie, pensieri, idee e soprattutto luoghi comuni, del solo passato. Va da sé che ciò che si viene presentando come nuovo, ovvero inedito, sia inesorabilmente interpretato facendo ricorso alla cassetta degli strumenti che abbiamo a disposizione, spesso inadeguata perché costruita nel tempo trascorso. Ciò che ci appartiene, al netto dei molti malumori e, a volte, di qualche risentimento, è semmai la trepidazione per un futuro, anche prossimo, di cui ci riesce molto più difficile capire e prevedere il suo divenire di quanto invece non fosse nei lustri passati. Il disagio dell’Europa, che diventa da subito fatica delle democrazie liberali e sociali, ruota intorno a questa aura di imprevedibilità. Che nella coscienza quotidiana dei molti si traduce in un diffuso timore. Siamo entrati non da oggi in una età del mutamento continuo. Il lungo ciclo che si era aperto nel 1945, con la fine della disastrosa guerra di sterminio che aveva coinvolto buona parte del pianeta, si è oramai definitivamente concluso. La qual cosa per nulla implica che ciò che sopravviene sia da subito chiaro nei suoi lineamenti. Anche perché – e non si tratta di un particolare secondario – siamo transitati da società della stabilità, dove le trasformazioni si accumulano tra di loro per poi produrre effetti tangibili solo nel lungo periodo, ad organizzazioni sociali dove il mutamento è l’unica cosa che sia da intendersi come certa. Un mutamento in tempi brevi, contratti, quasi convulso ma con effetti sistemici, ossia su tutta la comunità, e sistematici, ovvero in ogni aspetto della vita associata. La metafora della “liquidità”, quasi abusata, continua ad avere la sua efficacia. Come l’ebraismo si ponga dinanzi a questo scenario, anzi, come gli “ebraismi” del mondo si interroghino sulle trasformazioni correnti, è questione che non riguarda solo gli ebrei ma l’intero consorzio umano. Nessuna missione messianica o comunque testimoniale, per essere chiari. Non è questo il ruolo secolare dell’ebraismo. A stretto giro – poi – una minoranza non ha altra funzione che non sia quella di autopreservarsi, affrontando la già non facile navigazione tra i marosi dei tempi e dei luoghi che deve condividere con tanti altri. Semmai, allora, la sua implicita funzione, assolta già nei tempi trascorsi, è di fornire alle collettività tutte le parole appropriate per domandarsi quale sia il senso del cambiamento. Imparare a fare domande è non meno importante del comprendere come formulare delle risposte coerenti. Anche e soprattutto per questo si impara la virtù dell’esistenza, che è qualcosa di più della mera sopravvivenza. Am Yisrael Chai, per intenderci. Ci siamo capiti?
Claudio Vercelli