Simcha Rotem (1924-2018)

“Mentre eravamo sui tetti del ghetto pronti a combattere, non pensavamo a salvarci. Oramai la vita non aveva più alcun valore. Pensavamo a difendere la libertà per un’ultima volta”. Invitato a parlare al Tempio maggiore di Roma, “Kazik” ricordò ai presenti lo spirito con cui il 19 aprile 1943 lui e i suoi compagni si apprestavano all’ultima battaglia contro i nazisti, a dare vita alla celebre rivolta del Ghetto di Varsavia. Fu il più significativo atto di resistenza ebraica durante la guerra, un’azione eroica senza speranze di riuscita ma mossa dal desiderio di “difendere la libertà per un’ultima volta”. E così in queste ore viene ricordato Simcha “Kazik” (il nome di battaglia) Rotem, ultimo combattente sopravvissuto alla rivolta del ghetto di Varsavia del ’43, scomparso nelle scorse ore all’età di 94 anni. “Kazik ha combattuto i nazisti, ha salvato gli ebrei, è immigrato in Israele dopo la Shoah e ha raccontato la storia del suo eroismo a migliaia di israeliani”, ha ricordato il primo ministro Benjamin Netanyahu. “La sua storia e la storia della rivolta sarà per sempre parte del nostro popolo”. Dopo quasi un mese di strenui combattimenti (in cui furono uccisi 16 nazisti e cento furono feriti), Rotem escogitò un piano per salvare gli ultimi sopravvissuti, facendoli uscire attraverso le gallerie fognarie del ghetto dato alle fiamme e completamente distrutto dai tedeschi. “Mi raccontò che uscito dal ghetto promise agli altri combattenti, ‘tornerò a salvarvi’. E uno dei suoi più grandi rimpianti fu non riuscire a salvarli tutti”, ricorda David Meghnagi, direttore del Master in simcha meghnagiDidattica della Shoah dell’Università Roma Tre, che con Rotem costruì un’amicizia, scrivendo anche la prefazione del libro Conversazione con un eroe. Simcha Rotem racconta , a cura di Anna Rolli (Belforte Editore). “La sera di Sukkot, a cena casa mia, mi raccontò tanti aneddoti. Fra questi la volta in cui entrò nella sede delle SS per chiedere delle ‘informazioni’, fuggendo immediatamente dopo, quando intuì che la persona di servizio si era insospettita e aveva chiesto di assentarsi per chiedere delle informazioni. Un’altra volta andò di persona nel luogo in cui le persone venivano ammassate per essere deportate, nel tentativo di fare qualcosa per salvarne qualcuno e poi vistosi intrappolato, finse di uscire dall’altra parte, come se nulla fosse. O quando stabilitosi in Israele scelse di fare i lavori più pesanti per dormire e non impazzire di notte per quel che aveva visto e vissuto”.
Nato a Varsavia nel 1924, Rotem si unì al movimento giovanile sionista HaNoar HaTzioni all’età di 12 anni. I bombardamenti tedeschi distrussero la casa della sua famiglia allo scoppio della seconda guerra mondiale, uccidendo il fratello Yisrael, i nonni, la zia e lo zio. Lui e sua madre furono feriti durante l’attacco. Per un periodo lasciò Varsavia per poi ritornarvi nel 1943 e combattere al fianco del vicecomandante Marek Edelman nella rivolta, aiutandolo poi a scappare dal ghetto. Più tardi, si unì alla resistenza polacca per poi impegnarsi, finita la guerra, ad aiutare i sopravvissuti alla Shoah ad emigrare nel nascente Stato d’Israele. Nel 1946, fece lui stesso l’aliyah, combattendo nell’Haganah durante la guerra d’indipendenza d’Israele. “Scelse il nome Rotem, ginestra in ebraico. E non fu una scelta casuale – sottolinea Meghnagi – La ginestra è la pianta sotto cui il profeta Elia si abbandona e dice a Dio di voler morire. Ma Dio gli risponde che il suo compito non è finito. Così come il compito di Simcha, nonostante avesse negli occhi la tragedia di milioni di morti, non si concluse mai: per tutta la vita si è impegnato a costruire per chi verrà dopo. E credo sia il suo più grande insegnamento”. Ricordando la figura del grande combattente, il Presidente dello Stato d’Israele Reuven Rivlin ha voluto citarne le parole, quando disse: “Siamo tutti animali su due gambe, questo è quel che sento, che credo. E tra questi animali su due gambe ci sono quelli che meritano di essere definiti “Adam”, uomini”. “Grazie di tutto, Kazik. – il saluto di Rivlin – Promettiamo di fare ogni sforzo per essere degni del nome ‘Adam’”.

Daniel Reichel