Storia – L’economia e il suo cuore teologico
“Negli ultimi due decenni, studi e riflessioni sulla retorica del discorso economico e sull’uso di metafore e immagini nel linguaggio degli economisti sono aumentati significativamente soprattutto nel solco degli studi avviati dal McCloskey tra 1980 e 1990. Tuttavia, continuiamo a ritenere che l’uso di spiegazioni metaforiche per illuminare la matematica economica e finanziaria sia un espediente linguistico funzionale alla narrazione e alla divulgazione di principi e teoremi troppo difficili per i non iniziati. Sebbene varie indagini abbiano sottolineato la natura storica di questi ricorsi alla metafora, alla somiglianza e all’analogia per parlare e scrivere di economia nell’Occidente proto-capitalista e capitalista, molti rimangono convinti che lo scambio semantico tra le diverse aree della conoscenza europea, come la biologia e la dottrina monetaria, o l’escatologia e l’aritmetica finanziaria, sia nell’era della comunicazione di massa una strada per facilitare l’apprendimento e la metabolizzazione di una disciplina, l’economia, che è di per sé piuttosto indigesta”. È quanto sottolineava il professor Todeschini, intervenendo in occasione della quarantesima lezione in ricordo dello storico francese Marc Bloch con una relazione incentrata sul “cuore teologico nascosto” dentro il razionalismo economico occidentale. “Questa analisi piuttosto rapida della retorica economica – aggiungeva poi – solleva tuttavia un grosso problema. Alcune immagini, metafore e associazioni utilizzate dagli economisti moderni e contemporanei per semplificare il discorso economico facendo riferimento agli assiomi indiscutibili delle leggi naturali o alla sacralità solenne degli imperativi teologici, hanno avuto una vita molto lunga. Si trovano in universi concettuali lontani situati in galassie semantiche apparentemente estranee al sistema epistemologico contemporaneo o moderno. In altre parole, l’abitudine di metaforizzare relazioni economiche usando immagini e concetti di teologia e delle scienze naturali, o anche una biologia intrisa di teologia della provvidenza, o una conoscenza anatomica più o meno moderna, è tipica del Medioevo, del Rinascimento o dell’era moderna e contemporanea”. Inevitabile quindi porsi la domanda su come si sia formata questa complessità linguistica e se l’abitudine, che è tradizionalmente presente nell’occidente capitalista e precapitalista, di usare le parole della teologia e della metafisica religiosa cristiana, nonché delle scienze naturali, per definire il campo e i fatti dell’economia come uno spazio materiale di relazioni sociali e religiose “apra la possibilità di un’analisi dei percorsi storici di realizzazione della scienza economica, intesa come luogo astratto di elaborazione delle geometrie sociali finalizzate allo sviluppo, alla crescita, all’arricchimento e infine alla felicità pubblica”. Punto di partenza, rifletteva Todeschini, gli elementi discorsivi di base che, tra Medioevo e modernità, precariamente in bilico tra la teologia ed economia, sono stati l’origine della decrittazione dell’economia in termini teologici e fisiologici. È dal lessico usato per descrivere la prosperità o al contrario la mancanza, la salute o al contrario l’infermità del corpo mistico formato dalla società dei fedeli e degli eletti che nascono le parole-concetto apparentemente neutre di “circolazione”, “crescita” e “sviluppo” economico, ma anche i loro opposti “stagnazione”, “depressione”, “regressione”. “Concettualmente dense – spiega lo studioso – queste parole, che sono sia moderne che postmoderne, si riferiscono, al di là della loro apparente asetticità, a un archivio di definizioni difficili da racchiudere in un unico campo semantico e a un vocabolario polisemico che nel corso dei secoli ha prodotto concetti economici efficaci in una prospettiva teologica così come metafisica, in una prospettiva amministrativa ma anche pragmatica e, in ultima analisi, in una prospettiva governativa e normativa”. Se si osserva con attenzione la “macchina semantica” costituita tra tarda antichità e il Medioevo che i libri di storia del Cristianesimo definiscono l’economia della salvezza – l’invito alla riflessione di Todeschini – “abbiamo immediatamente scoperto la potenza espressiva di una ambiguità adatta a rappresentare sia il benessere che la la salute, la ‘salvezza’ di un organismo, sia visibile che invisibile, sociale e mistica, usando parole e immagini che, in un futuro lontano, chiameremo economico”. Al centro di questo sistema c’è una parola: commercium (in greco: synallagma). Una parola che, afferma lo storico, “si riferisce allo scambio segnato dal profitto ma apre anche alla possibilità di una invocazione alla salvezza, al rapporto tra umano e divino, in termini modellati per analogia con lessici di profitto calcolabile e probabile, come l’uscita dalla condizione mortale e l’accesso alla beatitudine celeste”. La moltiplicazione di metafore e somiglianze implicite nel senso complesso del commercio rende possibile parlare di un linguaggio teologico esplicito che, sostiene, “è anche, allo stesso tempo e senza una soluzione di continuità, un linguaggio economico e finanziario”.
Pagine Ebraiche, gennaio 2019