Società – Populismo e democrazia

Ferite dalle diseguaglianze, teatro della rivolta dei ceti medi, indebolite dal populismo e intimorite dal rischio di stagnazione finanziaria, le democrazie in Gran Bretagna, Nord America ed Europa continentale affrontano il 2019 consapevoli che sarà l’anno della resa dei conti. I fronti geografici di questa evoluzione politica sono tre perché dal 2016, l’anno di Brexit e dell’elezione di Trump, l’Occidente ha al suo interno altrettanti percorsi di crisi. Su ognuno di questi il 2019 promette dei momenti spartiacque, capaci di innescare conseguenze più estese. In Gran Bretagna, a marzo, la Brexit diventerà realtà con un distacco formale dall’Unione europea che potrà essere «soft» – moderato – come auspica la premier Theresa May oppure «hard» – brusco – come invoca l’ala dura dei sovranisti guidata da Boris Johnson. Nel primo caso avremo un divorzio Londra-Ue lento, progressivo, teso ad attutirne l’impatto nel corso di 24 mesi, nel secondo invece tutto si consumerà in maniera brutale nell’arco di un mattino travolgendo come uno tsunami una miriade di legami umani, commerciali, politici e militari fra i due lati della Manica. Ciò significa che la scelta britannica segnerà tutti noi: se il successo della Brexit tre anni fa fu lo choc con cui l’attuale crisi dell’Occidente iniziò, adesso ne determinerà le dimensioni ovvero se porterà solo ad un riassetto dei rapporti commerciali o a un terremoto dalle conseguenze imprevedibili. Negli Stati Uniti, dove Donald Trump si avvia a superare il secondo anno di presidenza, Washington attende con il fiato sospeso il rapporto Muller sul Russiagate ovvero la pubblicazione dell’indagine dell’ex capo dell’Fbi sul ruolo avuto dalla Russia nel condizionare le ultime elezioni per la Casa Bianca. I democratici di Nancy Pelosi, nuovo Speaker della Camera dei Rappresentanti, si preparano a dare seguito al rapporto Muller lanciando una raffica di inchieste sull’amministrazione Trump che, di fatto, aprirà la campagna per le prossime presidenziali nel novembre del 2020. Lo spartiacque in questo caso è il testo di Muller: può innescare una crisi istituzionale da far impallidire il Watergate oppure trasformarsi in un boomerang, consentendo a Trump di chiamare a raccolta i sostenitori per respingere l’attacco dei nemici del «Deep State» (lo «Stato profondo»). Infine, ma non per importanza, il fronte dell’Europa continentale dove le elezioni Ue di maggio si presentano come un autentico referendum sul futuro dell’Unione perché i partiti populisti e sovranisti in più Paesi – a cominciare dall’Italia – inseguono con forza un successo talmente dirompente da rendere irriconoscibile non solo la composizione dell’Assemblea di Strasburgo ma anche l’assetto delle istituzioni di Bruxelles. Dunque, l’entità dell’affermazione dei partiti sovranisti e populisti ci dirà se il vento della protesta che già spazza Budapest, Varsavia, Roma, Barcellona e Vienna si imporrà nell’Ue, cambiandogli i connotati. Il bivio della Brexit, il rapporto Muller e le elezioni europee costituiscono una coincidenza di eventi da cui nei prossimi sei mesi dipenderà lo stato di salute delle democrazie rappresentative sui due lati dell’Atlantico. E come se non bastasse ad aumentare le incognite ci sono i segnali di rallentamento della crescita globale – dalla Cina agli Stati Uniti fino a Francoforte – ad evidenziare una situazione di pericoloso bilico collettivo. Poiché l’Italia è un laboratorio di questa stagione populista quanto avverrà altrove avrà un forte impatto da noi così come ciò che avverrà da noi potrà avere un significato politico più vasto. Ciò spiega perché le cancellerie dei Paesi partner ed alleati riservano per l’Italia un’attenzione in crescita ricorrendo, sempre più spesso, a diplomatici padroni della nostra lingua e cultura per meglio comprendere cosa avviene da noi. Sarebbe tuttavia un errore considerare l’Occidente già in liquidazione perché al suo interno vi sono anche indicatori di rilevante innovazione: il cambio di guida nella Cdu tedesca e le elezioni di Midterm in America hanno catapultato sulla scena nuovi volti di leader, la mobilitazione contro gli abusi sulle donne sta trasformando in alcuni Paesi l’etica popolare, grazie al voto del Parlamento di Strasburgo la protezione dei diritti individuali nella realtà digitale si inizia a realizzare, l’intelligenza artificiale è un moltiplicatore dell’economia digitale accelerando le trasformazioni sociali in atto e la superiorità militare della Nato sui rivali si consolida grazie all’entrata in servizio degli aerei F-35 perché promettono il controllo dei cieli. Insomma, l’Occidente resta il più vivace laboratorio di novità del Pianeta ma è atteso da una spietata resa dei conti con le sue profonde crisi politiche.

Maurizio Molinari, La Stampa, 30 dicembre 2018