Oltremare – Freddo
Se attraversando la strada nel gelo relativo di una Tel Aviv invernale, ventosissima e sotto i dieci gradi centigradi che qui sono il minimo sindacale, spunta dall’altra parte della strada un signore sulla settantina con giaccone aperto e sandali ai piedi, la prima cosa che pensi è: kibbutz nel nord di Israele. Non serve neanche guardargli le mani, sicuramente callose e screpolate. La faccia è quella seria e calma del professore universitario di qualcosa di utile al mondo, come filosofia o geologia o agronomia, gli occhi chiari dell’ashkenazita i cui genitori sono arrivati diretti dalla Russia poco dopo la rivoluzione e hanno continuato a rivoluzionare usando i palmi delle loro proprie mani e l’olio dei loro propri gomiti. Gente che provava a fare qualcosa di nuovo e di totalmente assurdo, il kibbutz: allo stesso tempo un esercizio intellettuale e una realtà che più fisica non si può. Il signore che attraversa la strada nella direzione inversa alla mia non fa caso a me e al mio giaccone invece ben chiuso e agli stivali caldi e comodi che ho ai piedi. Il freddo gli è chiaramente indifferente e me lo immagino a casa mentre sta per uscire in maniche di camicia e la moglie gli ricorda di prendere una giacca, che non si sa mai, magari piove, speriamo.
Lui sale tranquillo verso l’entrata dell’università e io scendo veloce controvento verso il mio ufficio, cercando di sfuggire al freddo inusuale.
Daniela Fubini
(7 gennaio 2019)