Controvento – Pulizia
Pare che i primi giorni dell’anno in America i negozi di robivecchi, i centri di raccolta di indumenti usati, le boutique specializzate in abbigliamento di seconda mano, siano stati letteralmente invasi da orde di persone con valigie e sacchi della spazzatura pieni di roba da riciclare.
L’ondata di pulizia delle case non è stata una coincidenza astrale, bensì l’effetto di una nuova serie Netflix “Tiding up with Marie Kondo” sì, proprio la Marie Kondo acclamata autrice giapponese di trattati sull’applicazione dei principi zen ad armadi, pensili e cassetti. Ovvero, Il magico potere del riordino, dal titolo del suo primo best-seller (edito da Vallardi) che spopolò come la Bibbia dell’anticonsumismo nel 2012 tra alternativi, millennials e sostenitori della decrescita felice. Ora Marie visita le case di consumiste coppie losangeline oberate di indumenti e oggetti inutili, glieli fa tirar fuori davanti alle telecamere, e insegna come liberarsene e, soprattutto, liberare e riorganizzare gli armadi. Principio guida: tieni solo ciò che ti dà felicità, e butta via ciò che non ti serve più, anche se ti piace o hai un legame sentimentale, ringraziando per la gioia che ti ha portato. Un funerale felice.
E parlando di funerali, un’altra moda che sta facendo sempre più adepti è quella della Death cleaning, teorizzata da un’anziana signora svedese, Margareta Magnussen, che ha coniato il termine döstädning, ovvero l’arte di fare pulizia in vista della morte. L’idea, peraltro condivisibile da chiunque si sia trovato a dover ripulire la casa di genitori o parenti deceduti, è che bisogna cercare di alleviare la fatica ai propri discendenti, provvedendo a disfarsi di tutto ciò che a noi non serve più e che a loro non interessa, come le nostre lettere, i documenti di vent’anni fa, le foto ingiallite di viaggi dimenticati, quel vestito con scollo barchetta tenuto nell’armadio “perché non si sa mai, magari tornerà di moda”, e la miriade di ninnoli, soprammobili, centrini di pizzo, regali che non si ha il coraggio di buttare, e che richiederanno settimane di lavoro improbo a chi già è provato dal lutto. Due consigli utili anche a chi scaramanticamente non ha nessuna intenzione di mettersi a ripulire in vista del proprio decesso: depositare in una cassetta di sicurezza l’elenco delle password utilizzate, in modo da aiutare gli eredi a gestire i propri beni e i profili digitali. E chiudere in una scatola, con l’etichetta “Da buttare” tutti i documenti ai quali si è legati sentimentalmente (le lettere del primo amore, i diari, l’immagine di sé a vent’anni a seno nudo), che non si ha il coraggio di eliminare, ma non si vuole cadano in mani indiscrete o troppo sensibili.
Si tratta solo di idee eccentriche, o il successo di queste signore ci dice qualcosa di nuovo sulle tendenze sociali? Propendo per la seconda ipotesi. Secondo me si sta lentamente facendo strada, soprattutto nei giovani, l’idea che il consumismo ha fatto il suo tempo, che ha distrutto il mondo, sommergendolo sotto montagne di ciarpame che non si riesce a smaltire, invadendolo di plastica (e anche di microfibre che a livello di inquinamento sono ancor peggio della plastica), bruciando le risorse naturali e creando una massa sterminata di infelici che hanno molto più del necessario, ma non sono mai soddisfatti perché ambiscono a possedere infiniti altri oggetti inutili assurti al ruolo di status symbol. I millennials e le generazioni successive (la X e la Z) tendono a tenere tutti i loro possessi in un bagaglio a mano (sono mobili, e il trolley è la loro cabina armadio), ad avere un solo apparecchio elettronico, lo smartphone, che serve per collegarsi con gli amici, controllare la posta elettronica e lo stato di salute, giocare, ascoltare musica, vedere film, allenarsi, e ad alloggiare in case minimaliste, ispirate alla filosofia zen. Lo confermano gli sviluppi di Airbnb, il sito di affitto a breve termine di appartamenti. Quando Airbnb nacque nell’agosto del 2008, l’idea era di scambiare case tra privati e offrire ad altri la possibilità di vivere la vita di uno sconosciuto in un altro Paese e in un’altra realtà. Affascinante. Potevi installarti qualche giorno in un nido buddista, con altarini di divinità dorate e bruciatori di incenso, e un altro nella casa trendy di giovani nerds. Ma questa offerta non ha più successo. I millennials cercano appartamenti praticamente vuoti, niente armadi, perché non hanno vestiti, niente scrivanie, perché non hanno computer, e la rassicurante uniformità di uno stile che si chiama International Airbnb style, ispirato vagamente ai cataloghi IKEA. Interni spogli, freddi, legno grezzo, pareti bianche, divani grigi. La pubblicità di Roam, un nuovo sito di affitti brevi che fa concorrenza a Airbnb, garantisce che ovunque puoi cucinare nella stessa cucina, dove le pentole hanno tutte lo stesso posto, il caffè si fa con la Nespresso – e ci si rilassa nella stessa poltrona – solitamente una Eames – senza accorgersi se si è a Osaka, piuttosto che a Madrid, Londra, Shangai o Rio de Janeiro. Importanti sociologi hanno dedicato trattati a questa nuova tendenza dei non-places, alla nascita di un gusto globalizzato, spersonalizzato, che fa sparire la diversità, dà una allucinazione di normalità e anestetizza rispetto ai sapori, agli odori, ai colori, ai profumi del mondo.
Ma la cosa si può analizzare anche da un altro punto di vista. Cioè come la ribellione dei giovani all’insano consumismo che ha caratterizzato l’epoca dei baby boomers, che ci ha fatto lavorare come pazzi per acquistare montagne di oggetti inutili, ci ha trasformati in custodi/prigionieri della nostra roba, con case sempre più grandi per contenere armadi in cui accumuliamo il superfluo, ci ha portati a distruggere l’ambiente e dare fondo alle risorse naturali. Forse il successo di Marie Kondo, di Margaret Magnussen e dell’Airbnb International style potrebbe essere letto come il segnale dell’aspirazione a un mondo più frugale e quindi più sano. Forse è questo che tanto piace di papa Francesco.
Viviana Kasam