lodare…

“Ze E-LI’ veanvehu – Questo è il mio Signore e voglio lodarLo, il Signore di mio padre e voglio esaltarLo”(Esodo 15,2). Nel contesto della “shirat hayam”, il canto di ringraziamento che tutto il popolo d’Israele intona all’Eterno dopo l’attraversamento del Mar Rosso, troviamo un’espressione che, nelle diverse interpretazioni con cui viene letta, ci trasmette la ricchezza di vita e di sentimenti con le quali i Maestri intendono la lode di D.O. Queste interpretazioni scaturiscono dal fatto che la parola “veanvehu” si ricollega ad una radice che può significare “luogo, dimora”, oppure esprimere “l’essere bello , adornarsi” o ancora può essere letta come contrazione di due termini distinti “anì vaHu” ovvero “io e Lui” che, in altro modo, allude al rapporto tra l’uomo e D.O . La lode al Signore ,come ci spiega Rashì, può rappresentare quanto di Lui narriamo e facciamo conoscere a tutti gli uomini con le nostre parole; tuttavia non con sole parole si esprime, occorrono azioni, come ci insegna il Talmud: “adornati di oggetti quanto più belli per adempiere ai Suoi Comandamenti, così che sia bella la Sukkà la capanna della festa, lo Shofar il corno che si suona nel Capodanno,lo Zizit il manto con i fiocchi prescritti, il Sefer Torah, il Rotolo della Torah che venga scritto con tutta la dovuta devozione, dallo scriba più esperto con l’inchiostro migliore” ( Talmud B. Shabbat 133 b). La lode a D.O diviene impegno a renderla espressione corale, di tutti i figli d’Israele , nell’auspicio che diventi di tutti i popoli, nel luogo specifico ad esso destinato, il Santuario; al tempo stesso ogni persona, come interpreta R. Shimshon Refael Hirsch,può impegnarsi e consacrare la propria vita per divenire egli stesso dimora della Presenza divina. Ed ancora, la lode al Signore è tendere costantemente a seguirne l’esempio, come insegna Abbà Shaul nello stesso passo del Talmud già citato “Cerca di renderti simile a Lui, come Egli è pietoso così tu sii pietoso, come Egli è misericordioso, così tu sii misericordioso”. La lode al Signore dunque richiede il sentimento, la parola e l’azione concreta, richiede amore per onorarLo degnamente nelle Mizvot e per seguirLo nelle opere di generosità e giustizia, richiede che ci sia armonia e coerenza tra quello che sentiamo nel nostro intimo, quello che manifestiamo individualmente nel rapporto con il nostro prossimo, chiunque sia, e il compito che prendiamo su di noi per avvicinare a D.O noi stessi insieme ai nostri fratelli.

Giuseppe Momigliano, rabbino