Roma, il Premier in sinagoga
“Ebraismo ha irradiato cultura”

Il ricordo della devastazione della Shoah, a pochi giorni dalle cerimonie per il 27 gennaio. Il coraggio dei sopravvissuti, voce ancora viva del presente ed esempio per il futuro. Ma anche la ferita del 9 ottobre 1982, giorno dell’attentato palestinese durante il quale restò ucciso il piccolo Stefano Gaj Taché.
“Dobbiamo trarre insegnamento dal passato e saper cogliere i segnali che vediamo oggi. Segnali di un progressivo degrado contro il quale è necessario porre un argine”. Così il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in visita al Tempio Maggiore di Roma. Ad accoglierlo in questa visita, che il Premier ha definito “emozionante”, la Presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello, il rabbino capo rav Riccardo Di Segni e la Presidente UCEI Noemi Di Segni.
In un discorso segnato da alcune colte citazioni letterarie, da Il mondo di ieri di Stefan Zweig a Educazione europea di Romain Gary, il Presidente Conte ha assicurato massimo impegno per la libertà religiosa e contro ogni intolleranza. Anche nel segno “dell’immenso patrimonio dell’ebraismo, che ha irradiato la cultura e ogni campo”. L’antisemitismo, ha sottolineato, “è il rifiuto stesso dei valori europei”.
“Sappiamo sulla nostra pelle che l’odio verso gli ebrei ha forme e matrici diverse, sappiamo anche che l’antisemitismo si evolve, si trasforma e si diffonde con rapidità” ha affermato la Presidente Dureghello, ricordando come l’antisemitismo spesso si mascheri da antisionismo. “Conosciamo l’impegno delle istituzioni per contrastare tutto ciò – ha proseguito Dureghello – ma come ho avuto modo spesso di condividere occorrono atti concreti e scelte significative per meglio definire gli ambiti di legalità e non lasciare spazio ad alcuna ambiguità o minimizzazione”. Un invito “urgente” è stato poi rivolto al Premier affinché si faccia promotore dell’adozione della definizione di antisemitismo dell’IHRA da parte dell’Italia.
Citando la plurimillenaria tradizione dell’ebraismo italiano, il rav Di Segni ha rappresentato cosa significa questa responsabilità al giorno d’oggi. “La nostra fedeltà a un sacro patrimonio antico – le sue parole – non è un residuo archeologico, ma è la testimonianza vitale di una fede che illumina le vite e la società”. Ricchezza spirituale, culturale e sociale, ha poi aggiunto. “Un luogo dove non esistono sinagoghe o dove esistevano e sono state distrutte o trasformate in museo, e purtroppo in Italia molti sono questi luoghi, è un luogo in cui manca un fermento essenziale, uno stimolo alla crescita, all’incontro con il diverso, la critica per le cose consolidate e la curiosità per le cose nuove”.
Preoccupazione per la crescita di odio e intolleranza nella società è stata espressa anche dalla Presidente UCEI: “L’antisemitismo – ha infatti detto – non è un fenomeno del passato. Oggi è ancora più forte e al di là dei fenomeni connessi al terrorismo e radicalismo islamico a noi preoccupa, pur apprezzando immensamente l’indefesso lavoro delle forze dell’ordine di ogni grado, il riemergere forte e distinto di gruppi di estrema destra, della violenza e odio razziale, dai campi di calcio alle aule universitarie”. La sicurezza, la cultura, la stabilità e la pacifica convivenza, sia in Italia che in Europa, sono state poi indicate come priorità “da porre in cima ad ogni scelta economico-politica che né è espressione”.

a.s twitter @asmulevichmoked

L’intervento di Ruth Dureghello

Le porgo il benvenuto dell’intera Comunità. È per me un privilegio ed un grande onore accoglierLa nel complesso monumentale della Sinagoga che è insieme alla scuola, il cuore della vita ebraica della Città di Roma. Una Comunità la cui storia è raccontata in questo museo sin dal nostro arrivo oltre duemiladuecento anni fa.

Ventidue secoli di permanenza ininterrotta. Un’esperienza, quella romana, che rappresenta un caso unico al mondo di convivenza e condivisione. Nel corso dei secoli, seppur costellati da epoche buie e difficili, gli ebrei hanno sempre svolto il proprio dovere e contribuito alla crescita culturale, alla difesa di valori e diritti, che ritroviamo oggi anche nella nostra Costituzione.

Le tradizioni, che connotano e distinguono l’appartenenza al popolo ebraico convivono qui a Roma da sempre con altre culture e tradizioni (etniche religiose linguistiche) e questo modello multiculturale e multi identitario che vede nella diversità un motivo di arricchimento è la base del moderno vivere civile.

Spesso nella storia questa diversità, è stata origine di pregiudizio e persecuzione. Nonostante il grande contributo ebraico al Risorgimento, alla lotta antifascista o alla stesura della Costituzione, la nostra diversità è stata avvertita come una minaccia. Insieme invece dobbiamo lavorare per spiegare che le diversità sono una ricchezza e che la conoscenza reciproca resta uno strumento formidabile per favorire la crescita cultura e la stabilità sociale.

Signor Presidente, oltre a ribadirLe l’impegno degli ebrei romani al servizio delle istituzioni dobbiamo rappresentarLe la nostra preoccupazione per la tenuta sociale del paese.

Siamo preoccupati come ebrei, ma lo siamo soprattutto come italiani. Siamo preoccupati perché percepiamo un’animosità nel dibattito pubblico, una violenza nei linguaggi che produce quei fenomeni che troppo spesso ci troviamo a stigmatizzare. Secondo la tradizione ebraica il mondo è stato creato con la parola, ne dobbiamo perciò fare un utilizzo il più possibile attento, evitando che la sua forza creatrice si tramuti in forza divisiva o peggio distruttrice.
È per questo che apprezziamo il suo stile nell’affrontare i problemi e le difficoltà del nostro Paese, con pragmatismo e senso di responsabilità.
Pochi giorni fa ci siamo espressi sul caso della Sea Watch ribadendo che per quanto sia complicato gestire il fenomeno dell’immigrazione, la salvezza di vite umane viene prima di tutto. Io sento di doverLa ringraziare signor Presidente per il suo personale sforzo di trovare una soluzione dignitosa nei confronti di quelle persone.

In questo clima generale non mancano episodi di antisemitismo che continuano a trovare spazio e terreno fertile negli ambienti più disparati.

Sappiamo sulla nostra pelle che l’odio verso gli ebrei ha forme e matrici diverse, sappiamo anche che l’antisemitismo evolve si trasforma e si diffonde con rapidità:
dagli spalti negli stadi nelle aule universitarie, fino ai social network, dove ormai il fenomeno ha assunto numeri e misure incontrollabili e l’uso di linguaggi vessatori se non intimidatori di matrice razzista ed antisemita sono ormai una costante.

Spesso l’antisemitismo si “maschera” da antisionismo, la nostra Sinagoga porta ancora i segni di quando l’odio contro gli ebrei e contro Israele creò le condizioni per l’attentato del 1982 (i cui responsabili benché condannati sono ancora latitanti all’estero) che lei ha voluto ricordare fermandosi in un momento di riflessione davanti alla lapide in memoria di quel terribile giorno.

Conosciamo l’impegno delle istituzioni per contrastare tutto ciò, ma come ho avuto modo spesso di condividere, occorrono atti concreti e scelte significative per meglio definire gli ambiti di legalità e non lasciare spazio ad alcuna ambiguità o minimizzazione. A tale proposito è quantomai urgente che venga adottata anche dall’Italia la definizione dall’HIRA sull’antisemitismo che segue quella sul negazionismo e ne completa la missione dando connotati e strumenti certi per valutare e ove necessario giudicare chi tali limiti valica.

Nel saluto agli italiani di fine anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sottolineato l’importanza di “sentirsi “comunità”: significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. Significa “pensarsi” dentro un futuro comune, da costruire insieme. Significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese.” Noi, caro Presidente, ci rispecchiamo in queste parole. La Comunita ebraica di Roma è una parte essenziale della Comunità italiana e continuerà, in nome di questi valori, a lavorare per il futuro dell’Italia.

Ruth Dureghello, presidente Comunità ebraica di Roma

L’intervento di rav Riccardo Di Segni

Saluto con grande piacere la visita del Presidente del Consiglio dei Ministri, il professore Giuseppe Conte.
In questo Suo gesto che onora la Comunità ebraica colgo un importante segno di attenzione da parte delle istituzioni. Come noto, siamo una Comunità presente nel territorio italiano da 22 secoli e in questa storia bi-millenaria abbiamo vissuto tutte le esperienze possibili di integrazione e allontanamento, persecuzione e accoglienza.
Questo edificio, il Tempio Maggiore di Roma, finito di costruire nel 1904 è testimone di tutte le grandezze e miserie della storia dell’ultimo secolo. Sotto il peso di tanta storia, come si presenta oggi, cosa ha da dire la nostra comunità, davanti alla società in tumultuoso cambiamento, e di fronte alle istituzioni che devono gestirlo?
Vorrei dal mio punto di vista sottolineare alcuni punti. Noi siamo una Comunità in cui il ricordo è parte essenziale dell’identità, e purtroppo si tratta di ricordo di cose tristi e terribili. La nostra memoria, sempre vigile e attenta, rappresenta una garanzia per la società che non deve dimenticare i principi fondamentali sui quali si debba basare una convivenza democratica. Ma questo ruolo, pur fondamentale, non deve alterare la percezione altrui del nostro essere, non deve modificare i nostri connotati. Noi siamo soprattutto i depositari e i fedeli di una tradizione religiosa e culturale di origini remote, dalla quale sono nate altre religioni, ben più numerose della nostra. La nostra fedeltà a un sacro patrimonio antico non è un residuo archeologico, ma è la testimonianza vitale di una fede che illumina le vite e la società, è una ricchezza per l’intera società. Ricchezza spirituale, culturale, sociale. Un luogo dove non esistono sinagoghe o dove esistevano e sono state distrutte o trasformate in museo – e purtroppo in Italia molti sono questi luoghi – è un luogo in cui manca un fermento essenziale, uno stimolo alla crescita, all’incontro con il diverso, la critica per le cose consolidate e la curiosità per le cose nuove. Una comunità ebraica libera e vitale, dedicata alla promozione dei suoi valori è un tassello essenziale dell’identità collettiva e una garanzia per la sua crescita. Valori, appunto.
Gli ebrei italiani, come tutti gli altri cittadini, hanno diverse opinioni politiche e le istituzioni che li rappresentano non devono appoggiare questo o quel partito. Ma gli ebrei italiani attraverso le loro rappresentanze possono e devono testimoniare i valori della loro tradizione, come sono quelli della difesa della vita, della libertà e della dignità umana, anche se talora questa testimonianza può andare contro corrente. Anche per questo siamo qui e ringraziamo il Presidente del Consiglio che mostra attenzione alla nostra voce.

Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

L’intervento di Noemi Di Segni

Signor Primo Ministro, illustri ospiti e autorità
Accogliamo questa Sua visita con un saluto corale di tutte le comunità italiane (21 in tutto il territorio nazionale), che vivono e partecipano le vicende del Paese. Ciascuna ha le proprie caratteristiche, storia di nascita e di resilienza, di beni culturali e tradizioni, di vita ebraica e celebrazioni comunitarie, ma tutte unite dal profondo radicamento nel territorio e nel contesto italiano, che con le proprie capacità e competenze hanno contribuito allo sviluppo culturale economico e sociale di questo Paese, mentre nei momenti di crisi e di guerra hanno lottato per lo stesso e per l’affermazione dei più fondamentali principi.
A nome loro mi faccio portatrice di alcune condivise riflessioni:
– Stiamo celebrando in questi giorni, e culminerà con il giorno 27, il ricordo della Shoah e dei sei milioni di ebrei uccisi con un disegno di sterminio che non ha uguali. Ma la Shoah non inizia e non finisce con Auschwitz, non inizia e non finisce con le responsabilità del popolo tedesco e dei nazisti, non è solo una questione ebraica. Ha origini che affondano nel millenario antisemitismo, nelle leggi del ’38 e ancora oggi vi è offesa se il negazionismo non è degnamente affrontato in ogni sede istituzionale; la Shoah nel suo insieme ha i suoi responsabili anche qui in Italia per quanto fatto dal fascismo con tutti gli atti legislativi e amministrativi che a quelle precise volontà diedero esecuzione e con tutti i comportamenti inerti di chi restava indifferente. Su queste negli ultimi ottant’anni andava e va fatta una seria e responsabile riflessione.
– L’antisemitismo non è un fenomeno del passato. Oggi è ancora più forte e al di là dei fenomeni connessi al terrorismo e radicalismo islamico a noi preoccupa, pur apprezzando immensamente l’indefesso lavoro delle forze dell’ordine di ogni grado, il riemergere forte e distinto di gruppi di estrema destra, della violenza e odio razziale, dai campi di calcio alle aule universitarie, che con la leva della rete attecchisce e si diffonde, uccide con le parole ma anche con le armi; apprezziamo l’impegno e il voto favorevole dell’Italia alla risoluzione del Consiglio dell’Unione europea che lo scorso 6 dicembre ha approvato e condiviso la definizione operativa proposta dall’IHRA e invitiamo governo e istituzioni, comprese quelle universitarie, a recepirla ed implementarla, compresi i riferimenti alle subdole forme di antisemitismo che boicottano Israele e le associano gli atroci atti commessi dal nazismo e dal fascismo.
– Abbiamo in tutte le fasi dal dopoguerra ad oggi sempre rafforzato la cooperazione e i rapporti tra istituzioni ebraiche e lo Stato italiano, con le istituzioni culturali e accademiche e gli enti locali di riferimento, per andare oltre alla logica di tutela di una minoranza religiosa ed essere un interlocutore – non un protestatore – partecipe ai processi di crescita, di elaborazione di modelli educativi, di studio e di scuola, per affrontare le più difficili sfide, come oggi quella dell’immigrazione, sulla base dei valori ebraici, primo fra tutti il rispetto della vita e dignità umana.
– La sicurezza, la cultura, la stabilità e la pacifica convivenza, in Italia ma nell’Europa tutta di cui vediamo e ricordiamo l’Italia fondatrice e promotrice, sono priorità da porre in cima ad ogni scelta economico-politica che né è espressione.
Shabbat Shalom

Noemi Di Segni, Presidente UCEI

L’intervento di Giuseppe Conte

Signor Rabbino Capo, Presidente Di Segni, Presidente Dureghello, nell’esprimere la più profonda e sincera gratitudine per questo incontro, non posso certamente celare il portato di emozione che la visita a un luogo così significativo suscita interpellando la mia coscienza tanto da indurmi pressoché naturalmente al silenzio più che alla parola.
L’ingresso al Tempio Maggiore, la commossa sosta davanti alla lapide, che ricorda il piccolo Stefano, ucciso a soli 2 anni in un vile attentato terroristico il 9 ottobre del 1982, mi hanno profondamente scosso e la memoria di questo triste evento si ravviva ancora più oggi, a così breve distanza dal Giorno della Memoria. In quell’occasione rievocheremo, anche nelle sedi istituzionali, l’immane tragedia della Shoah, la notte più buia della Storia, nella quale una folle e mostruosa ideologia concepì un programma di annientamento dell’uomo senza precedenti. Il 27 gennaio faremo memoria, come ogni anno, dell’Olocausto, di quell’evento che Paul Celan, forse tra i più grandi poeti del Novecento, ebreo e rumeno, non nominò mai pur parlandone in molte delle sue liriche, “l’accaduto” – lo definiva – ciò che inesorabilmente è precipitato nella Storia in un determinato tempo, un tempo che, senza alcuna spiegazione razionale, una certa generazione è stata costretta a vivere”. “Ognuno – scriveva Celan – resta legato alle proprie date, colpito dall’accento acuto della Storia, piuttosto che cullato dal circonflesso dell’eterno”. Il male che quella generazione ha vissuto nelle sue forme più acute si è fatto memoria, interrogando le coscienze di quanti sono vissuti dopo. Come ha ricordato il Presidente Mattarella lo scorso 27 gennaio del 2018, “la memoria di Auschwitz e di tutto quello che Auschwitz rappresenta e contiene ci pone di fronte al lato più oscuro del male e all’abisso del male, all’offuscamento delle coscienze e alla perdita totale del sentimento più elementare di pietà e di umanità”.
Al cospetto dell’immane tragedia dell’Olocausto, di fronte al mysterium iniquitatis, al mistero del male che progetto di sterminio del popolo ebraico raggiunse la sua più inaudita manifestazione è forse il silenzio la scelta più autentica? No, non è certo il silenzio lo spazio nel quale possiamo trovare rifugio e consolazione, non è il silenzio la risposta all’abisso del male. La memoria dei sopravvissuti ai campi di sterminio – e oggi ne abbiamo avuto una preziosa personale testimonianza – ecco, la loro testimonianza dolorosa nel raccontare l’indicibile, le umiliazioni, la violazione dei propri diritti, le sofferenze alle quali furono sottoposti, i soprusi che subirono, l’orrore che si manifestò davanti ai loro occhi, ecco, tutto questo ha avuto bisogno di parole per poter essere trasmesso alle generazioni successive e giungere come monito fino a noi, e continua ad aver bisogno delle parole. Come fu possibile che nell’Europa dei diritti, culla di una raffinata civiltà, nella quale il valore della persona umana era iscritto – direi – nel patrimonio indelebile di una cultura condivisa, si sperimentasse un ottundimento delle coscienze di tale portata? Forse una prima risposta a questo interrogativo, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale interpella le nostre coscienze, si ritrova in un libro bellissimo di Stefan Zweig, il grande scrittore austriaco di origini ebraiche, “Il mondo di ieri”, ecco questo mondo non è solo la struggente rievocazione autobiografica dell’Austria Felix e più in generale della società europea cosmopolita e colta che si suicidò nel primo conflitto mondiale ma anche l’analisi lucida dello smarrimento degli antichi valori della nostra civiltà. Oscurati e travolti da un inesorabile smarrimento della ragione collettiva, per questo, ancora oggi, mentre assistiamo spesso impotenti e talvolta colpevolmente indifferenti al riaffiorare di forme latenti o esplicite di antisemitismo, dobbiamo trarre insegnamento dal passato, nella consapevolezza che i più grandi orrori sono sempre l’esito di una rassegnazione talvolta inconsapevole all’inevitabilità degli eventi, è una resa dei presidi morali che sorreggono e devono proteggere i nostri ordinamenti giuridici.
In molti Paesi d’Europa, e purtroppo anche in Italia e nella stessa città di Roma, assistiamo con preoccupante frequenza a episodi di riprovevole violenza, certamente ancora isolati ma che costituiscono la spia di un progressivo affievolimento della sensibilità collettiva di fronte all’emersione di antiche e nuove forme di razzismo, talvolta proprio di stampo antisemita. Potrei purtroppo ricordare molti episodi di cronaca, come cori razzisti nelle manifestazioni sportive, o la testimonianza di provati cittadini che denunciano di essere vittime di odiose offese a causa della loro appartenenza religiosa. C’è stato un episodio, per altro, che ha coinvolto la città di Roma e che mi ha profondamente colpito per il suo valore simbolico: il 10 dicembre scorso nel Rione Monti – lo ricorderete – sono state trafugate molte delle cosiddette pietre d’inciampo, pietre simbolo della memoria realizzate dall’artista tedesco Demnig in ricordo delle vittime del nazismo. Ho appreso con soddisfazione che pochi giorni fa, correggetemi se erro, il 15 gennaio, quelle pietre sono state ricollocate laddove erano state divelte. Pur tuttavia resta il senso di amarezza per un episodio che, seppur isolato, è segnale del progressivo degrado della nostra convivenza civile al quale occorre opporre un argine. Nelle mie funzioni di Presidente del Consiglio, nell’esprimere la ferma condanna nei confronti di episodi così riprovevoli, desidero, e lo voglio fare proprio qui da questo luogo evocativo, ribadire l’impegno dell’Italia nella tutela e nella promozione della libertà religiosa e nella lotta a ogni forma di discriminazione e di intolleranza alla quale la stessa Presidenza italiana 2018 dell’Ocse ha dedicato particolare attenzione.
Ricordo, sotto questo profilo, che l’Italia fin dal 1999 è membro della International Holocaust Remembrance Alliance, nata nel 1998 su impulso dell’allora Primo Ministro svedese Persson, come task force nel campo dell’istruzione con riguardo alla memoria, ricerca sull’Olocausto che viene trasformata nel 2000 in organismo intergovernativo. Anche nell’ambito dell’Unione europea, è stato anche ricordato, non sono mancate recenti iniziative volte a contrastare fenomeni di razzismo in particolare nei confronti delle comunità ebraiche.
Lo scorso 6 dicembre su iniziativa della Presidenza di turno austriaca è stata adottata una dichiarazione sulla lotta contro l’antisemitismo e lo sviluppo di un approccio comune in tema di sicurezza per proteggere con più efficacia le Comunità e le istituzioni ebraiche in tutta Europa e questa dichiarazione è stata anche menzionata nelle conclusioni del Consiglio europeo dello scorso 13 e 14 dicembre. Questo Governo farà la sua parte anche sul fronte interno.
Desidero in questa sede rinnovare i legami di particolare amicizia con la Comunità ebraica presente da sempre in Italia. Al patrimonio condiviso di valori e di destino che la qualificano come una delle più importanti componenti identitarie della nostra Nazione si affianca il contributo che gli italiani di origine ebraica singolarmente hanno offerto in diversi ambiti dalla letteratura, alla scienza, all’arte. Il riconoscimento dell’apporto della Comunità ebraica alla causa della Nazione mi permette di estendere questa considerazione ad un orizzonte più vasto. Credo che un modo forse ancor più autentico per onorare la memoria ed evitare di ricadere nell’errore del passato sia quello di ricordare il contributo straordinario offerto dal pensiero ebraico alla cultura universale e in particolare alla cultura europea. Il patrimonio culturale ebraico ha contribuito a implementare quella che – ricordo un bellissimo romanzo di Romain Gary – possiamo definire “Educazione europea”. In questo senso è possibile affermare che ogni forma di antisemitismo, quello di ieri e quello di oggi, è una sorta di suicidio dell’uomo europeo, che disprezzando, rifiutando l’ebreo, disprezza e rifiuta se stesso, nega una componente fondamentale della sua identità. L’uomo europeo, infatti, non sarebbe quello che è senza l’apporto del pensiero e della cultura che promana dalla religione del Libro, la quale ha irradiato e innervato tutta la cultura nella quale siamo immersi, di cui siamo impregnati. Letteratura, arte, musica, ogni campo nel quale il talento umano si è espresso realizzando spesso ineguagliabili capolavori ha trovato fecondo terreno di maturazione nell’ebraismo ed è forse proprio l’ignoranza che può spingere ad atteggiamenti di intolleranza che altrimenti non si spiegherebbero. Possiamo dire che gli intellettuali ebrei, cittadini delle diverse nazioni d’Europa, hanno offerto uno straordinario contributo di civiltà che soprattutto in alcuni momenti della storia si è manifestato in forme non comuni. Penso alla grande letteratura tedesca, mitteleuropea che dalla fine del XIX° secolo agli inizi del XX° secolo è stata fortemente debitrice nei confronti degli scrittori, dei poeti, dei filosofi di origine ebraica. Allo stesso tempo ricordo anche i grandi nomi della letteratura israeliana, Amos Oz, scomparso di recente, Grossman, Kaniuk, Potok hanno a loro volta dato voce alla vita degli ebrei europei così contribuendo ad alimentare quella trama di destini condivisi che lega l’Europa all’ebraismo.
Anzi, dobbiamo riconoscere che l’umanesimo europeo negli ultimi due secoli è stato sostenuto e alimentato in particolare proprio dalla cultura ebraica. Penso alle riflessioni che un raffinato intellettuale Martin Buber ha affidato a un suo famoso scritto “Il cammino dell’uomo”, che è nello stesso tempo un testo di spiritualità ebraica e un saggio sulla natura dell’essere umano.
“La nostra autentica missione in questo mondo in cui siamo posti – scrive Buber – non può esser in alcun modo quella di voltare le spalle alle cose e agli esseri che incontriamo e che attirano il nostro cuore. Al contrario – continua – è proprio quella di entrare in contatto attraverso la santificazione del legame che ci unisce a loro con ciò che in essi si manifesta.
Cari amici della Comunità ebraica di Roma, cari amici della Comunità ebraica d’Italia, grazie per questo invito, grazie per la vostra gentile –
direi – calorosa accoglienza.
Ringrazio voi e attraverso voi ringrazio tutte le Comunità ebraiche che si sono succedute nel corso del tempo dislocate in tutti i luoghi geografici per il prezioso e inestimabile contributo che avete offerto all’umanesimo e che hanno reso ancor più ricco l’intero patrimonio dell’umanità.

Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio

(18 gennaio 2019)