Memoria – II dramma della Shoah attraverso gli occhi dei bambini di allora

Il regista francese Claude Lanzmann, autore dell’opera monumentale Shoah, ci ha insegnato che la forza della testimonianza dell’orrore e la verità del racconto dei sopravvissuti alla Shoah non è rappresentabile in forma di fiction. Eppure per far rivivere le storie di queste persone al presente non c’è altra via. Figli del destino, la docufiction sul dramma delle leggi razziali e la Shoah raccontata dal punto di vista dei bambini (stasera in onda su Rai 1 e presentata nel pomeriggio al Senato), ci ricorda che anche nella galassia dell’audiovisivo viviamo tra due epoche. Ci stiamo lasciando alle spalle, dolorosamente, quella del racconto diretto, con la scomparsa progressiva della voce dei testimoni, e ci avviciniamo all’epoca in cui non sarà più possibile registrare memorie e potremo solo tentare di ricostruirle. Il film, diretto da Francesco Miccichè e Marco Spagnoli, realizzato da Red Film e Rai Fiction, racconta la storia di quattro bambini di allora, la senatrice Liliana Segre, la scrittrice Lia Levi, Tullio Foà e Guido Cava, alternando l’interpretazione di giovani attori alle testimonianze dei veri protagonisti, assieme a immagini di repertorio e a un’attenta ricostruzione del contesto storico. I ricordi degli anni di scuola «Da Napoli a Milano abbiamo cercato storie di bambini italiani, tra loro ci sono quelli che non sapevano neanche di essere ebrei prima delle leggi razziali», spiega il regista Marco Spagnoli. Quando le leggi razziali – firmate da Vittorio Emanuele III nella Tenuta di San Rossore a Pisa il 5 settembre del ’38 -, sconvolgono la vita dei protagonisti, tutto cambia. È il presagio di ciò che sta per accadere con le deportazioni nazifasciste. La torinese Lia Levi trova rifugio in un convento a Roma. A Napoli Tullio Foà e sua madre sono aiutati da un commissario di polizia, mentre a Pisa Guido Cava è nascosto in campagna con il padre, quando un medico fascista gli salva la vita. A Liliana Segre, a Milano, toccherà il destino più tragico: lei e suo padre tenteranno di fuggire in Svizzera, ma saranno deportati. Liliana riuscirà a sopravvivere e a tornare dall’inferno di Auschwitz. Sono le «vessazioni minori», come le chiama Lia Levi, a ferire per prime i bambini. Come l’esclusione dalla scuola, l’indifferenza dei compagni e a volte dei maestri. Tùllio Foà, che oggi è impegnato a raccontare la sua storia agli studenti, rivela che proprio nella scuola ritrova il ricordo più bello e quello più terribile della sua vita. «Il ricordo più brutto è quando entravamo a scuola dal cancello secondario perché eravamo ebrei. Quello più bello è quando gli alleati sono arrivati a Napoli, e così rientrai nella scuola pubblica dal cancello principale». I registi rinunciano a mettere in scena l’orrore del campo di sterminio di Auschwitz raccontato da Segre: scelgono immagini evocative e la loro rinuncia è una scelta poetica, frequente nei film contemporanei perché ci troviamo di fronte all’irrappresentabile. «La docufiction permette di ribadire la verità e riporta nel presente la storia di questi bambini», spiega il direttore di RaiFiction Eleonora Andreatta. Per il Giorno della Memoria, domenica, esce in contemporanea in tutta Europa Chi scriverà la nostra storia di Roberta Grossman, che racconta la vicenda degli Oyneg Shabes, i membri dell’organizzazione clandestina formata da ebrei intellettuali, che riuscirono seppellire e a mettere in salvo diari e documenti, la cronaca di ciò che accadeva nel ghetto di Varsavia assediato dai nazisti.

Ebrei intellettuali clandestini

Un’altra docufiction che mescola immagini di repertorio, le pagine dei diari e l’interpretazione di attori. Qualche anno fa in Israele uscirono alcuni cortometraggi di animazione girati da studenti che affrontavano il tema della Shoah. Quei ragazzi, per la maggior parte nipoti di sopravvissuti, scelsero come voce narrante quella vera dei nonni o bisnonni che raccontavano la propria tragica storia; in alcuni casi era la voce registrata di persone scomparse da anni. E la stessa scelta che hanno fatto poi registi e autori italiani: riorganizzare la memoria per consegnarla alla Storia. «La memoria non è solo ricordo, ma elaborazione – spiega Lia Levi -. La svolta di questi anni è che qualcuno in Italia ha riconosciuto la responsabilità del nostro Paese. La memoria è lavoro».

Ariela Piattelli, La Stampa, 23 gennaio 2019