STORIA Tempi di pace, ma non per tutti

dawanDaniela Dawan / QUAL È LA VIA DEL VENTO / Edizioni E/O

Quando dirigevo l’Unità ogni tanto, tra la posta politica di sostegno o protesta, c’erano lettere che mi disorientavano. Tutte avevano in comune una storia di cui, in tempo reale, ho conosciuto solo qualche pallido spunto. Ero in Israele durante la “guerra dei Sei Giorni “, immerso, da giornalista Rai sui cinque fronti (Libano, Siria, Giordania, Egitto e Palestina) e sapevo che in molti Paesi arabi erano esplose violenze e persecuzioni contro gli ebrei di quei luoghi, come se fosse scattato il segnale della fine. Le lettere mi chiedevano di parlarne. L’ho fatto, dedicando spazio soprattutto alla persona che era stata il preside della scuola italiana, mentre nelle strade di Tripoli avvenivano pogrom contro i nostri connazionali ebrei, in pieno tempo di pace, fra il processo di Norimberga e quello di Eichman, e mentre cominciava a esistere il sogno delle Nazioni Unite. Ma adesso l’ingiusto vuoto narrativo è stato colmato dal romanzo – documentario “Qual è la via del vento” di Daniela Dawan, scrittrice già nota, che è nata a Tripoli, è fuggita nei giorni di sangue della vendetta libica, ed è ora Consigliere della Cassazione a Roma. Ma il libro della Dawan non è solo un importante ponte su un vuoto, il legame con una parte di storia contemporanea, importante, tragico e ben poco narrato. L’autrice affronta la complessità degli eventi: chi sono gli ebrei italiani che in tanti vivono In Libia, e partecipano alla nascita di un Paese che sta per essere moderno, ricco e che potrebbe cambiare l’Africa? Chi sono i libici che rischiano e aiutano, le suore che proteggono le loro scolare ebree, le autorità del mondo che ci sono e non ci sono, e quelle italiane, che intendono fare tutto il possibile, ma non sembrano sapere con certezza se c’è e dove passa un confine fra italiani ebrei e non ebrei? “Qualè la via del vento ” si muove continuamente fra il livello familiare e privato delle storie, la storia vista dall’interno di una famiglia, e la storia che cambia e sconvolge ogni vita privata, spingendo a un continuo cambiamento di piani, decisioni, strategie e fiducia. A momenti la narrazione è pubblica e corale. A momenti è intima e personale. Fino al punto che quando Micol, fuggita da bambina, tornerà a Tripoli da avvocato per incontrare Gheddafi e reclamare i diritti negati, emerge anche il mistero di una sorella scomparsa. Il libro-documento di Dawan colma un vuoto e certo racconta una parte del non detto. Ma il romanzo è anche il diario di una vita italiana sconosciuta in un Paese che continua ad avere un tragico dialogo con il nostro Paese.

Furio Colombo, Il Fatto Quotidiano, 28 gennaio 2019