Due Italie
Ormai da molti mesi assistiamo nel nostro paese a una paradossale dicotomia: se ci poniamo di fronte gli atteggiamenti e le reazioni della società rispetto a scelte di fondo di tipo economico-sociale, oppure davanti alle drammatiche situazioni dei flussi migratori che ci investono di passaggio, o anche rispetto alla valutazione della storia di settanta/ottanta anni fa e della sua memoria nel presente, è come se ci trovassimo ad avere a che fare con due mondi differenti, agli antipodi l’uno dall’altro. Da una parte un’Italia razionale e civile, che guarda a un futuro di sviluppo proiettato in Europa senza barriere di isolamento, che si pone il problema di un’equa ripartizione di carichi e responsabilità nei confronti del fenomeno migratorio ma considera ineludibile il dovere etico e sociale di solidarietà umana verso chi ha bisogno di salvezza e di aiuto, che guarda con la stessa attenzione critica e autocritica al nostro passato totalitario preoccupato di trovarne traccia nei superficiali populismi di oggi e nelle loro possibili derive. Dall’altra, un’Italia chiusa nel risentimento, collettivamente animata contro veri o presunti abusi, alla ricerca – attraverso la facile ed egoistica compattezza del movimento o della lega “pro domo propria” – di caste privilegiate, di capri espiatori collettivi da accusare per una crisi complessiva. E per superare l’innegabile declino in cui siamo immersi non vale, per questo settore, l’iniziativa comune, coraggiosa e aperta, di più nazioni europee, o la disponibilità prudente verso nuove forze provenienti dalla povertà e dalle guerre endemiche dell’Africa o del Medio Oriente; servirebbe invece trincerarsi con accanimento alla difesa della fortezza assediata. Quale fortezza e quale assedio, verrebbe da chiedersi.
Sappiamo bene che la realtà non è così semplicisticamente divisa in modo manicheo, che la situazione effettiva è molto più variegata e complessa di come la possiamo percepire dalla lettura dei giornali e che le posizioni della società rispetto alle grandi scelte/sfide del presente e del futuro sono piene di sfumature differenti motivate da componenti locali e da vicende particolari. Sappiamo anche è forse troppo facile attribuire tutte le responsabilità dell’odierna fase calante alla evidente carenza di competenze e di strategie dell’attuale governo, o al suo atteggiamento sempre rivendicativo, sempre distruttivo e risentito nei confronti delle precedenti esperienze politiche e mai capace di pianificare con lungimiranza. Certo anche nelle guide del recente passato non mancavano i pressappochismi e le soluzioni di comodo.
Eppure sussiste un fondo di verità in questa emergente divisione in due blocchi nell’orientamento collettivo. Eppure è impossibile sfuggire alla sensazione che se siamo entrati in un tunnel da cui non sarà facile uscire la responsabilità primaria è di chi, forte dei voti di protesta di metà dell’elettorato, imposta la sua azione di governo sulla chiusura e sulla cieca sicurezza di sé, sull’assenza di umanità verso situazioni di emergenza e sulla colpevolizzazione di presunte élites scelte come capri espiatori, sul controllo demagogico nei confronti di un “popolo” inteso come massa indistinta pronta a sostenere i paladini della riscossa.
Di fronte a questo sfascio, a questa perdita di ragione e di retti principi, l’Italia della razionalità, dell’analisi oggettiva e dei valori morali deve riuscire a non scoraggiarsi e a non lasciarsi sommergere.
E la minoranza ebraica, sempre osservatrice attenta della realtà che la circonda e storicamente al centro di pregiudizi collettivi, non può non collocarsi dalla parte del raziocinio e dell’umanità, all’interno di quelle élites che, rifiutate dagli attuali vertici, potranno forse salvare la situazione.
David Sorani
(5 febbraio 2019)