L’intervista a Valeria Termini
“Il nostro futuro è rinnovabile”

Dal 20 agosto 2018 la sedicenne Greta Thunberg manifesta ogni venerdì davanti al Parlamento svedese perché vengano adottate misure adeguate contro il cambiamento climatico. Il suo sciopero del venerdì è diventato un movimento giovanile globale: dall’Australia alla Gran Bretagna, migliaia di ragazzi hanno seguito l’esempio di Greta, la cui caparbietà ha portato fino alle Nazioni Unite. In una riunione al Palazzo di Vetro a New York, la giovane ha colto in contropiede i presenti, affermando di non essere venuta “per chiedere ai leader mondiali di prendersi cura del nostro futuro. Ci hanno ignorato in passato e ci ignoreranno ancora. Siamo venuti qui per far sapere loro che il cambiamento sta arrivando, che piaccia o no. Le persone reagiranno alla sfida. E poiché i nostri leader si comportano come bambini, dovremo assumerci le responsabilità che avrebbero dovuto assumersi loro molto tempo fa”. E se qualcuno pensa di poter liquidare le parole di Greta perché è una adolescente, prenda in mano il libro di chi in questo settore ha un’autorevolezza internazionale: il cambiamento verso un mondo di energia pulita è inesorabile spiega infatti nel suo ultimo lavoro Valeria Termini, docente di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università RomaTre e fino ad agosto 2018 Commissario dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA). In Il mondo rinnovabile. Come l’energia pulita può cambiare l’economia, la politica e la società, (LUISS University Press), Termini descrive in modo chiaro e analitico perché siamo alle soglie di una rivoluzione che dall’energia rinnovabile ci porterà a ripensare tutta l’organizzazione della nostra vita quotidiana, sociale ed economica. “È un processo di lungo periodo del quale è indispensabile porre le basi oggi che la nuova tecnologia lo rende possibile, per affrontare in modo strategico e democratico i problemi storici con i quali l’umanità deve fare i conti. Non solo la riduzione dell’inquinamento atmosferico e la conservazione del pianeta per le future generazioni, ma anche e soprattutto il miglioramento delle condizioni di vita ancora oggi tragiche di molte regioni, che sono alla base di grandi movimenti migratori; tra gli altri, quelli che colpiscono direttamente l’Europa e l’Italia, al centro del Mediterraneo, snodo naturale delle grandi migrazioni dall’Africa”, scrive nel suo libro Termini, che con Pagine Ebraiche si sofferma per toccare in modo più approfondito un tema che segnerà il futuro di tutti noi.

Nel suo nuovo libro parla di una rivoluzione in atto in chiave energetica ma che tocca tutti gli aspetti della nostra vita, di cosa si tratta?
Come scrivo nel sottotitolo del libro, l’energia pulita può cambiare l’economia, la politica e la società. Al centro di questo cambiamento radicale troviamo le fonti rinnovabili, ricavate da sole, vento, geotermia, maree. In un mondo dove l’energia è sempre più al centro dell’organizzazione della vita quotidiana, del benessere sociale, economico, industriale e della crescita, le nuove fonti introducono nuove opportunità e, più in generale, aprono a una vera e propria rivoluzione. E ci sono tutti i tasselli perché ciò avvenga. A fianco alla disponibilità delle rinnovabili, abbiamo un secondo elemento: la rivoluzione digitale con le reti intelligenti che ci permettono di attivare dallo smartphone una produzione di energia elettrica diffusa e di metterla in rete. Ciascuno di noi potrà a breve controllare il proprio pannello solare attraverso il cellulare, e potrà non solo consumare energia ma anche venderla. Terzo tassello della rivoluzione, i nuovi materiali che consentono l’accumulo di energia elettrica, dando la possibilità di bilanciare domanda e offerta di energia, evitando il black out; l’accumulo permette di compensare il fatto che le rinnovabili dipendano da condizioni atmosferiche e quindi siano scarsamente programmabili. E soprattutto l’accumulo dell’energia elettrica nelle batterie apre la strada alla diffusione dell’auto elettrica alimentata da fonti rinnovabili e al ridimensionamento drastico dei combustibili fossili nei trasporti. Le previsioni di Bloomberg sui veicoli elettrici sono di 11 milioni di veicoli al 2025 nel mondo, dei quali 6 milioni solo in Cina.

Questa rivoluzione è possibile ma non è ancora avvenuta. Cosa manca perché accada?
Manca quella che chiamo la scintilla. Come è successo per il petrolio, le rinnovabili hanno bisogno di diventare un fattore di massa. Ci sono tutti gli indizi che ci dicono che stiamo andando in questa direzione ma serve una cambiamento culturale importante. Il nuovo sistema di produzione dell’energia reti in grado di distribuire energia prodotta localmente da piccoli impianti decentrati cambia anche l’organizzazione della vita.
Sei tu cittadino a produrre il tuo fabbisogno energetico, non sei più passivo. E diventi responsabile di questa gestione. Di conseguenza anche l’industria è costretta a riorganizzarsi: cambia il mondo delle utility (aziende quotate in borsa che forniscono servizi di pubblica utilità, in questo caso energia) che si devono aprire a nuovi servizi ai cittadini e trasformeranno i centri urbani in smart cities.

In questo nuovo sistema i cittadini hanno un ruolo di primo piano per il futuro del pianeta.
Nel mondo rinnovabile, ognuno di noi è responsabile del futuro. Questo, se vuole, è molto vicino alla tradizione ebraica. Ognuno di noi deve essere attivamente responsabile della cura del bene comune e trasmettere questi principi. E se si pensa al ruolo delle mamme nell’ebraismo, c’è proprio questa idea di responsabilità e al contempo di rendere responsabili i figli e le generazioni future. E inoltre c’è una consapevolezza antica dell’uomo nella natura che ci appartiene come cultura ebraica e non solo. C’è un bellissimo libro dello scrittore indiano Amitav Ghosh, La grande cecità, in cui si chiede come sia possibile che l’arroganza occidentale abbia pensato di far avanzare la tecnologia senza pensare alla natura. Già negli anni ’20 Gandhi, davanti alla corsa cinese verso l’industrializzazione, auspicava un percorso diverso per l’India perché altrimenti il mondo non avrebbe retto.

Eppure c’è chi, in posizioni di vertice, è scettico rispetto al grande tema del cambiamento climatico, acclarato dalla scienza.
Il rischio lo tocchiamo con mano.
Il riscaldamento del pianeta è un fatto a cui si aggiungono i fenomeni estremi come il disboscamento dovuto ai forti venti nel Nord Italia o l’inondazione di Piazza San Marco a Venezia. Delle circa 750mila frane avvenute in Europa nel 2017, circa 600mila interessano il nostro paese. Tendiamo a dire, cosa vera, che da noi la manutenzione è carente, manca prevenzione ma questi fenomeni estremi sono in larga parte conseguenza del cambiamento climatico. Non tutti sanno che città come New York, Londra, Mombasa stanno creando degli argini per difendersi dall’innalzamento del mare. La sensibilità su questo fronte in Italia c’è e la situazione di Venezia ne è un esempio. Bisogna inoltre tenere conto che la desertificazione provocata dal riscaldamento globale avrà un altro effetto sulla sponda nord del Mediterraneo: il progressivo arrivo di migranti climatici che porterà con sé nuove sfide.

Come si comporta la politica davanti a questa situazione?
Abbiamo esempi positivi e negativi. È un problema di cultura, di educazione civica. In Europa, ad esempio, i paesi nordici, qualsiasi sia
l’orientamento del governo mantengono questa cultura comunitaria, di partecipazione al bene comune, che non è solo il pianeta oggi ma anche per le prossime generazioni.
La Svezia ha imposto una carbon tax, senza che nessuno abbia fiatato. La stessa cosa in Canada dove Trudeau introdurrà la stessa tassa per disincentivare i combustibili fossili fra un anno ma intanto sta facendo una politica di sensibilizzazione tra i cittadini. Esempio contrario, la Francia dove è stata fermata l’introduzione di una tassa sulla benzina in linea con la politica avviata da Chirac nel 2002 e con la sua famosa frase: “la nostra casa brucia e noi guardiamo altrove”; lo stesso indirizzo fu seguito dai Presidenti successivi, fino al convergere di tutti i Paesi del mondo nella strategia di decarbonizzazione del pianeta, una tappa fondamentale stabilita proprio a Parigi nel 2015 durante la COP 21 sotto l’egida delle Nazioni Unite. Se però fai piombare la tassa sulla benzina sui cittadini, senza creare consapevolezza, hai i gilet gialli. Tutti protestano dicendo ‘ma come colpisci così tutti i redditi?’. Non c’è una preparazione, un pacchetto di misure che tenga conto degli aspetti equitativi.

Vista la sua esperienza ai vertici delle autorità europee e internazionali sulla regolazione dell’energia, qual è la strada giusta per far accettare nuove politiche in ambito energetico?
Consultazione e partecipazione. È importante spiegare in modo semplice quello che ti appresti a normare. È normale avere come prima reazione una barriera ma se ci fate caso non ci sono state in questi sette anni tensioni forti come in altri settori contro i cambiamenti che venivano fatti nel settore energetico. D’altra parte, bisogna fare molta attenzione a bilanciare gli incentivi perché non ci siano sperequazioni. Con il metodo delle consultazioni coinvolgi gli stakeholders nel processo decisionale. Ed è molto importante che ci siano dei rappresentanti di interessi diversi con cui poter collaborare perché altrimenti diventa un mondo qualunquista dell’ognuno contro tutti. Se hai istituzioni che rappresentano gli interessi dei cittadini e spieghi i costi e soprattutto i benefici a cui andranno incontro, diventa più semplice immaginare il cambiamento che già sta avvenendo. Persino la finanza si muove. Le faccio un esempio: il Fondo monetario norvegese, il più grande fondo sovrano del mondo, ha recentemente deliberato che investirà solo in aziende con footprint di carbonio favorevole, che non inquinano.

E gli Stati Uniti?
Il presidente Donald Trump ha deciso di sfilarsi dagli Accordi di Parigi della COP 21 ma ci vorrà del tempo. E se a livello federale quella è l’indicazione, intanto sempre più Stati e sindaci degli Usa stanno attuando politiche di decarbonizzazione. Persino le più grandi imprese del petrolio hanno dichiarato di sottoscrivere il fondo di collaborazione definito Coop 21 per consentire la decarbonizzazione nei paesi considerati più deboli. Han detto, mettiamo noi la quota degli Stati Uniti. È indicativo di un indirizzo ormai condiviso, quando si innesca, il cambiamento è inarrestabile. Non c’è contrapposizione che tenga.

In questo quadro del cambiamento inarrestabile che ruolo ha il gas?
Nella rivoluzione delle rinnovabili, il gas rimane. È infatti necessaria una risorsa che garantisca la continuità dei flussi elettrici soggetti alle intermittenze atmosferiche. Il Mediterraneo è un bacino straordinario per il gas, che rappresenta anche un elemento importante di cooperazione. I gasdotti possono unire paesi diversi in un interesse comune, si veda la triangolazione tra Egitto, Israele e Giordania. È quella che definisco la Energy for peace, che permette di superare i contrasti storici dell’area.

Guardando al futuro, dobbiamo essere ottimisti rispetto alla rivoluzione rinnovabile?
Siamo alle soglie di un percorso inarrestabile, a cui io guardo con ottimismo. È una battaglia di democrazia e sopravvivenza, che viene a maturazione in questo secolo e che crea le basi per lo sviluppo autonomo di paesi poveri, con l’Africa in particolare protagonista. Qui l’elettrificazione con le fonti rinnovabili locali rappresenta un’opportunità per il continente che avrà anche la possibilità di sfruttare risorse importanti come il litio, il cobalto per costruire il proprio benessere. Il warning è che la filiera energetica non ricada in forme di sfruttamento della popolazione locale nelle miniere.
In generale credo che la grande cecità comincia a disvelarsi e lo vediamo con Venezia. Ma bisogna anche avere dei leader politici che abbiano il coraggio di fare delle scelte e rispondano ai rischi che corre il nostro pianeta.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche Febbraio 2019