Orizzonti – Polonia, un paese in marcia verso il totalitarismo

bidussaLa memoria fa il suo mestiere, quando l’oggi che interroga il passato al fine di misurare non quanta strada abbiamo compiuto, ma dove siamo oggi. La memoria non è mai il passato che guarda al presente. Ma è il presente che interroga il passato per capire dove ci si trova nel tempo attuale. Come ottanta anni fa torna la domanda: vale la pena morire per Danzica? Allora, il 4 maggio 1939, a chiederselo sulle pagine del giornale di centro “L’OEuvre”, era Marcel Déat, esponente della destra sociale francese, ma già giovane deputato e promessa politica del Partito socialista francese (SFIO) alla fine degli anni ’20 (finirà collaborazionista filonazista e anti pétainista, a contendere a Jacques Doriot, anch’egli filonazista, ma un tempo giovane speranza del comunismo francese, la palma dell’investitura di uomo fidato del nazismo nel febbraio 1945). Allora il problema era se lasciar fare alla Germania nazista che chiedeva di entrare in possesso di Danzica, città libera che marcava il corridoio tra due pezzi di Germania e in cui si infilava anche lo sbocco al mare della Polonia o, invece, rischiare di andare alla guerra per affermare l’autonomia di Danzica. Ottanta anni dopo l’idea di Danzica città libera e aperta è ancora il segno di chi vuole una Polonia non in ostaggio del ricatto nazionalista. Deve essere questo che ha armato la mano dell’assassino di Pawel Adamowicz, sindaco di Danzica. Ma dire che l’Europa oggi è a Danzica, plaudire, come non farlo, alle molte decine di migliaia di polacchi che sono scesi in strada a dare l’estremo saluto al sindaco di Danzica a lungo vicino all’ala riformatrice e democratica di ciò che oggi rimane in Polonia di Solidarnosc, per quanto doveroso non elimina la necessità di cercare di riconoscere la fisionomia della Polonia di oggi. Le parole sono importanti e usarle o meno, quando ci sono e hanno un significato, dipende solo dalla volontà o non volontà di prendere di petto le situazioni che abbiamo di fronte. L’uccisione di Pawel Adamowicz, domenica 13 gennaio per opera di un simpatizzante politico della destra nazionalista che oggi governa la Polonia, forse conferma un dato che è nelle cose ma che ancora facciamo fatica a nominare. In molte parti d’Europa sta tornando il fascino per il totalitarismo. È un fascino che non ha mancato di dare molti segnali negli anni vicini a noi. Avere un’opinione diversa in Polonia è oggi pericoloso. Lo storico Jan T. Gross, autore di I carnefici della porta accanto (Mondadori), un libro da tempo fuori catalogo e che forse varrebbe la pena riproporre e poi con Un raccolto d’oro (Einaudi) ha dimostrato due cose che oggi in Polonia non si possono dire: 1) antinazismo e lotta all’antisemitismo non sono naturalmente coincidenti; 2) fare i conti con la vicenda dello sterminio richiede che preliminarmente si smetta di raccontarsi solo come vittime o come estranei. Da marzo scorso se Jan T.Gross entrasse in Polonia e anche si provasse a discutere i contenuti dei suoi libri andrebbe in carcere. La legge approvata lo scorso febbraio è soprattutto una macchina ideologica che ha tre scopi: 1) serve a scansare le responsabilità; 2) contribuisce a dare di sé un’immagine metafisica e fuori dalla storia; 3) è funzionale a descrivere se stessi, a priori, come innocenti, incontaminati. La somma di questi tre atteggiamenti è l’effetto e anche la macchina culturale che alimenta il processo di costruzione della Polonia di oggi come paese in marcia verso il totalitarismo. Non è l’unica realtà che oggi in Europa è incamminata lungo questo percorso. I suoi confinanti a sud (Ungheria, Repubblica di Slovacchia, ma anche la Repubblica di Boemia) senza dimenticare il confino orientale lungo il Baltico e la Russia si sono incamminati da tempo su quella strada. Paesi amici, per una parte non irrilevante dell’opinione pubblica italiana. Se ancora il fermo immagine che abbiamo è fermo all’indimenticabile ‘89”, dal 13 gennaio dobbiamo resettare il nostro orologio. La Polonia, di oggi sembra è più vicina alle pratiche proprie del regime che il 19 ottobre 1984 rapisce Jerzy Popiełuszko. All’orizzonte non si intravede lì, ma nemmeno altrove, nessun movimento di massa antitotalitario.

David Bidussa, Pagine Ebraiche, febbraio 2019