Civiltà e odio
Grandi contrasti, nel fine settimana appena trascorso: da una parte l’impegno civile nel segno dei diritti, dall’altra un allarmante richiamo alla realtà distruttiva dei nostri giorni.
Il ricordo dell’Emancipazione valdese ed ebraica – ogni anno ripercorso il 17 febbraio, nel giorno della promulgazione da parte di Carlo Alberto delle Lettere patenti che nel 1848 concessero le libertà civili (ma non politiche e religiose) ai valdesi, seguite poche settimane dopo da analogo provvedimento nei confronti degli ebrei – è stato sostanziato a Torino dall’accantonamento dell’aspetto celebrativo a vantaggio di un positivo impegno di riflessione rivolto a un tema oggi centrale perché tragicamente disatteso, quello dei diritti umani. Sabato, dopo la fine di Shabbat, una Piazzetta Primo Levi affollata di cittadini ha ascoltato con attenzione convinta la lettura pubblica della Dichiarazione dei Diritti umani fatta da altri cittadini (giovani, meno giovani, italiani, rifugiati stranieri, autorità) davanti alla Sinagoga illuminata, per poi concludere la serata nella sala della Casa Valdese e nell’attiguo Tempio tra cori ebraici e valdesi capaci, con la loro forza evocativa, di saldare partecipazione religiosa e impegno civile per la libertà di tutti. Domenica pomeriggio, il convegno Diritti umani oggi svoltosi al Polo del ‘900 ha ripercorso il cammino storico, i contenuti filosofici, i valori morali e civili, la logica umana e politica che si pongono alla radice della Dichiarazione del 10 dicembre 1948, nata sulla solida base dei principi pronunciati dalla Società delle Nazioni nel 1919 (fatti poi propri dall’ONU) e sul baratro del genocidio perpetrato durante la seconda guerra mondiale. Ma più che sulla vicenda dei diritti umani, i relatori si sono opportunamente soffermati sulle motivazioni della loro scarsa e talvolta nulla applicazione oggi. Da un lato, come ha ricordato Edoardo Greppi – professore di Diritto internazionale umanitario all’Università di Torino, nei rapporti politici l’autorità centrale degli Stati continua a fare la parte del leone senza ammettere poteri che possano di fatto limitarla e relegando così i diritti umani a una funzione marginale; dall’altro latita in maniera crescente nella società, come ha fatto notare Andrea Giorgis – docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino, una cultura dei diritti umani, una consapevolezza convinta ed effettiva di quei diritti della persona che costituiscono la base e costruiscono il concetto stesso di “diritti umani”. E poiché alla radice il concetto di “persona” è sostanziato non di elementi fisici e naturali bensì di elaborazione filosofica e di valori morali, a mancare oggi sono proprio i fattori di consapevolezza, quella dote intellettuale chiamata “libero arbitrio”, che già nel Quattrocento Pico della Mirandola indicava come dono esclusivo di Dio all’uomo all’atto della creazione. A testimoniare sia la prevalenza del potere statale sia la carenza di diffusa coscienza civile, Luciano Scagliotti, del Comitato Regionale per i Diritti Umani, ha preso in esame le continue difficoltà nell’applicare i principi contenuti nella Dichiarazione e nel sanzionare Stati e individui che ne alterino lo spirito e ne violino le norme. Lo stato di salute dei diritti umani è dunque molto preoccupante, come più volte è stato affermato nel corso del convegno. Certo i problemi restano irrisolti e in gran parte irrisolvibili, tuttavia l’analisi approfondita unita all’impegno militante di questi due incontri induce a concedere qualche chance alla lunga battaglia per i diritti umani, se non altro ad appoggiare con solidi argomenti la minoranza cosciente che se ne fa portavoce.
Ma ecco che un flash d’agenzia rimbalzato subito sulle prime pagine dei quotidiani mi proietta in un mondo completamente diverso. Le immagini del filosofo ebreo francese Alain Finkielkraut oltraggiato, spintonato, inseguito da una turba sguaiata di gilets jaunes che gli lancia addosso improperi antisemiti e antisionisti come armi contundenti invade il mio telefonino e la mia mente. Amarezza e pessimismo dilagano. La civiltà, la convivenza costruttiva, la conoscenza formatrice sono coltivate ormai da esigue minoranze, sparute élites indispensabili quanto fragili. Nei movimenti di massa in ascesa trionfa la barbarie. La mentalità, il linguaggio, il patrimonio identitario dei populismi rampanti sono impregnati di antisemitismo, nella veste “classica” razzista e nazionalista dei fascismi come nella forma ormai consolidata dell’antisionismo. Stiamo arrivando al culmine. In Francia non paiono esserci più prospettive reali per gli ebrei; duole dirlo, pensando alla consistenza umana e culturale dell’ebraismo francese. L’episodio di sabato dimostra come nel segno dell’antisemitismo violento si stia creando un’allarmante saldatura tra intolleranza fascista di stampo nazionalista e violenza jihadista in cerca di egemonia: un legame capace di trasformare l’antisemitismo francese da realtà costante ma settoriale a fenomeno di massa e di strada. In vari altri paesi europei la situazione non è molto migliore. E in Italia? Quando arriveremo all’esplicita violenza antiebraica? Per il momento possiamo solo contare su un Movimento di governo che cerca legami politici con i gilets gialli, tra i quali dilaga l’antisemitismo; tutto ciò senza che il suddetto Movimento senta il benché minimo impulso a prendere le doverose distanze da questo orientamento dei suoi nuovi alleati. Anche da noi, dunque, siamo sulla buona strada verso derive antisemite; di stampo governativo, per di più.
David Sorani
(19 febbraio 2019)