Il mondo di Binyamin

Finalmente grazie a Giuntina e alla traduzione di Giulio Busi è di nuovo possibile leggere in lingua italiana l’Itinerario o “Sefer massa’ot” di Binyamin da Tudela. Il racconto del lungo viaggio che l’esploratore e rabbino navarrese compì dalla sua città di origine sino ai confini della Persia nel XII secolo. Un’opera preziosa non solo per ricostruire etnograficamente il mondo ebraico del basso Medioevo, ma altresì per scoprire la visione del mondo e le abitudini di un’epoca così lontana dalla nostra.
Rileggerla in questi tempi e alla luce degli ultimi eventi che hanno riportato l’antisemitismo come argomento di cronaca fa infatti un certo effetto. Se oggi a qualcuno venisse in mente di ritornare sulle strade dell’Itinerario troverebbe una geografia ebraica tristemente diversa: in gran parte dei luoghi toccati da Binyamin sarà difficile trovare anche un solo ebreo, per quanto le cifre riportate dal viaggiatore siano poco attendibili e andrebbero certamente dimezzate. La Spagna, e la Catalogna in particolare, negli ultimi anni ha visto un timido risveglio ebraico, forse più revivalistico che altro. Nel sud della Francia, in Occitania, rispetto al 1165 ci sono sicuramente più ebrei, per quanto il loro futuro sia incerto. Rispetto ai “due tintori originari di Ceuta” incontrati da Binyamin a Genova, anche qui la situazione potrebbe considerarsi più positiva, così come per Roma. Istanbul conserva ancora una modesta comunità ebraica, qualche ebreo è rimasto in Grecia, ma soltanto su due o tre isole e nelle due città principali. Non del tutto certo il numero degli ebrei rimasti in Iran – tra gli 8.000 e i 25.000 -. Per il resto è quasi o del tutto scomparso l’universo ebraico del Meridione – a parte Napoli, e qualche comunità risvegliatosi negli ultimi decenni -, dell’Asia Minore, della Siria, del Libano, della Penisola Arabica – 300.000 ebrei nell’area settentrionale, secondo l’esploratore -, dell’Egitto, e soprattutto dell’Iraq. Già perché proprio l’Iraq, al quale saranno dedicate molte pagine, al tempo era uno dei centri principali dell’ebraismo medievale, di quello mediterraneo e orientale in particolar modo. Spesso ho letto di una attuale presenza ebraica nel Kurdistan Iraqeno, confermata anche da amici curdi ed ezidi, ma naturalmente niente di comparabile a ciò che v’era nella regione prima degli anni 50 del secolo scorso. Israele, naturalmente, è in definitiva l’unico luogo dove v’è tutt’ora una consistente popolazione ebraica.
Comparare il mondo ebraico di un secolo fa a quell’odierno è probabilmente ingenuo e antistorico, non si tiene conto soprattutto degli andamenti demografici, dei fenomeni sociali e politici, ed in realtà a livello globale la popolazione ebraica in confronto è aumentata sia in diaspora che nello Stato di Israele. I centri ebraici si sono ridotti, ma anche spostati in altri continenti e su altre direttrici. Il mondo abitato da Binyamin non era poi in definitiva così migliore del nostro per quanto concerne l’antisemitismo. Le persecuzioni antiebraiche erano ben vive nella memoria e nel quotidiano, nell’Europa cristiana soprattutto, ma anche coloro che vivevano in Oriente o sotto l’Islam non sempre potevano permettersi di fare sogni tranquilli.
Rileggere l’Itinerario, nel quale si racconta continuamente degli scambi e degli incontri che avvenivano tra popoli diversi, potrebbe però spingerci a ripensare le varie tentazioni che portano l’uomo contemporaneo a credere che l’unica via possibile di salvezza sia la costruzione di un mondo composto esclusivamente da stati nazionali omogenei e chiusi in se stessi. Se il Medioevo viene descritto, non sempre correttamente, come il periodo buio per antonomasia non era certo per ragioni etnografiche. In un presente dove sempre più spesso viene gridato “qui è casa nostra, vai altrove” – come è accaduto a Alain Finkielkraut la scorsa settimana a Parigi -, bisognerebbe sempre rispondere che “qui vivo e casa mia è (anche) questa”. Permettere a chiunque, con la premessa del rispetto dell’altro e del luogo, di poter vivere dovunque si senta a casa non dovrebbe essere mai negato.

Francesco Moises Bassano

(22 febbraio 2019)