Il dramma di un avvocato

jonaNella seconda metà del 1938, mentre, in sequenza, comparivano il Manifesto sulla Razza, firmato da Nicola Pende e altri medici fascisti e le leggi razziste che, in continuo crescendo, limitavano tutte le attività degli ebrei in Italia, un giovane avvocato (34 anni) di Genova, Salvatore Jona era stato incaricato dalla famiglia Viola di Torino, rinomati industriali, produttori di cioccolato, di vendere la Tenuta Paradiso (circa 750 giornate piemontesi ≈ 285 ha) situata nel territorio di Isola S. Antonio lungo la riva del Po nel territorio di Valenza. Si trattava di una grande tenuta agricola, in terreno fertile, con molteplici produzioni e di conseguenza le cifre che risultavano coinvolte erano assai importanti. Una curiosità rivelatami (nel 2012) dalla Sig.ra Magda Viola (che in quegli anni era una bambina): una striscia di terreno della Tenuta era stata affittata allo Stato per farne un “aeroporto”. Si trattava probabilmente di uno spazio piano e ben spianato, inerbito, privo di alberi dove potevano atterrare e decollare gli aerei. A quei tempi gli aerei atterravano sui prati e non si usavano le piste di cemento o di asfalto. Nella ricerca degli acquirenti più convenienti e remunerativi per i clienti, Salvatore Jona si imbattè in un gerarca fascista di Torino, che cercò di corromperlo e non riuscendovi ricorse a minacce, che in quel periodo potevano comportare l’arresto ed il successivo invio al confino (è un provvedimento giudiziario consistente nell’obbligo di abitare in una località ristretta, stabilita dalle autorità, per un certo periodo di tempo che può anche essere di alcuni anni).
In condizioni storiche, come quelle dell’Italia fascista, il confino si configurava come un provvedimento di polizia, cioè un provvedimento che poteva essere proposto dalle autorità di polizia ed imposto anche senza la necessità di un processo regolare e di una condanna per un reato effettivamente previsto nel codice penale ed effettivamente commesso. Il confino era, nel periodo fascista in Italia, sinonimo di messa al bando dalla società civile e di reclusione in remote località della nazione, dove vi erano poche vie di comunicazione. Al confino finirono i più grandi intellettuali antifascisti, forzatamente isolati su minuscole porzioni di terra in mezzo al mare (Pantelleria, Ustica, Ventotene, Tremiti, per citare le isole più utilizzate) o in paesi del Sud Italia (ad es. Roccanova, Gagliano presso Eboli, Savelli), così da separarli fisicamente, moralmente e socialmente da qualsiasi contatto con il resto del Paese. Il confino aveva una durata massima di 5 anni, che tuttavia potevano essere rinnovabili. Nel periodo fascista il confino politico fu applicato anche, dopo l’approvazione delle leggi razziali del 1938, agli omosessuali, accusati di “attentato alla dignità della razza”. I confinati venivano tradotti nelle isole in catene e venivano assimilati ai delinquenti comuni.
Nel settembre 1938, Salvatore Jona, evidentemente minacciato e tutt’altro che sicuro di essere libero di far ritorno a casa alla sera, al termine di una giornata di aspre trattative con il gerarca fascista o i suoi mandanti, scrisse alla moglie, Emilia Pardo, un biglietto di commiato, nel quale riassumeva i principii che, a dispetto del degrado generale, ispiravano la sua vita e soprattutto la sua condotta personale e professionale, senza però fornire alcun appiglio per ulteriori interventi di polizia agli occhiuti eventuali censori della corrispondenza. Il testo va quindi visto ed interpretato in questa duplice luce di affermazione di principii di indipendenza e correttezza professionali, espressi in una forma così aulica, generale e generica da non poter non essere condivisi anche dalla peggiore autorità di polizia, ma anche da essere capiti nella loro vera natura dalla giovane moglie che, a conoscenza dei fatti e delle premesse, avrebbe potuto leggervi l’ultimo messaggio del marito da uomo libero, un lascito morale e la notizia del possibile imminente arresto.
Il biglietto postale viene riprodotto qui sotto e trascritto per facilitarne la comprensione. È datato da Novi (Ligure) dove evidentemente Jona si era recato o per svolgervi le trattative oppure sulla strada verso la Tenuta Paradiso di Isola S. Antonio oppure verso Torino dove risiedeva anche il gerarca.

letteraNovi, 13/9/38:
Mia cara Emilia, mai come in questi giorni il mio destino mi è parso chiaro, alto e bello.
“Essere uomo” può in qualche momento costare fatica, ma innalza ed esalta lo spirito con forze inestinguibili: ed io ti accerto che mi sento uomo, al di là di ogni ostacolo e di ogni sacrificio.-
Tu ne sei certa come io sono certo di te. Persuadine anche i Tuoi, per mitigare loro l’ansia dolorosa di questi giorni: e dì loro di essere certi che per te e per Roberto – Renato (i figli di 2 e 3 anni) andrei e vincerei anche al Polo.
Parto sereno, fiducioso e forte. Siilo anche tu, oggi e sempre: ed abbi fiducia nella nostra Stella.
Vi abbraccio con tutto il cuore.

Tuo Rino

stampaL’ultima frase è un’indicazione di una trattativa complessa, aspra e rischiosa, durante la quale però Jona non intendeva demordere dai suoi principii, pur essendo ben conscio dei rischi che ciò comportava. Le trattative devono essersi protratte ancora a lungo, senza esito per il gerarca e a ovvio vantaggio dei clienti dell’avv.Jona.
Nell’edizione dell’8 febbraio 1939 de “La Stampa” di Torino, a pag. 7, in cronaca cittadina (6° colonna) comparve l’articoletto indispettito e ingiurioso che riportava una versione dei fatti falsata e che viene riprodotto qui sotto. Per fortuna non ebbe seguito e non se ne sono avute ulteriori notizie.

(Nell’immagine in alto Salvatore Jona con il figlio Renato)

Roberto Jona

(12 marzo 2019)