…antisemitismo

L’antisemitismo sta tornando di moda prepotentemente. Se lo stanno contendendo da destra e da sinistra, in una gara che diventa per noi sempre più allarmante. Superfluo fare il lungo e noioso elenco dei paesi in cui attecchisce rigoglioso il pregiudizio antiebraico e rivisitare gli episodi quotidiani che, un po’ dappertutto, ce ne danno triste prova tenendo viva la nostra inquietudine. Cimiteri profanati, sinagoghe oltraggiate, aggressioni alle persone, graffiti insultanti, minacce e intimidazioni nei contesti più disparati, accuse e calunnie mediatiche, raffronti indecenti. L’antisemitismo è ormai un fenomeno sdoganato e legittimato su scala europea e non solo, come dimostrano innumerevoli episodi di cronaca e la degenerazione di certo linguaggio politico negli Stati Uniti, oltre che la recente aggressione al rabbino capo d’Argentina.
Ci si chiede che cosa stia succedendo. La risposta più immediata sembra da ricercarsi nei grandi sistemi, nella crisi economica che sta attanagliando le società, forse anche per le ricadute di una globalizzazione non governabile e dagli sviluppi imprevedibili. Ma ci si deve anche chiedere se non vi sia chi sta direzionando il pensiero della gente contro gli ebrei, tradizionale capro espiatorio sempre a portata di mano. Orbàn, Salvini, Corbyn, Trump, hanno tutti un valido motivo per coagulare i loro elettori o i loro popoli puntando l’indice contro un nemico comune, pericoloso per la sicurezza dello stato o del sistema economico del paese. Un nemico su cui scaricare la responsabilità della loro incapacità politica. Un ebreo Soros buono per tutte le stagioni. L’estraneo (anche quando estraneo non è) è sempre il nemico più facilmente individuabile, identificabile concettualmente, se non proprio a vista.
Ci sarebbe chi è identificabile a vista, gli immigrati più o meno di colore, ma quelli, una volta bloccati al di fuori delle acque territoriali o respinti, non costituiscono più un utile diversivo per la retorica sovranista. L’ebreo, invece, è qui, in casa. Mimetizzato fra di noi – pardon, fra di loro –, quindi ancor più pericoloso perché camaleontico.
Nessun genere di antisemitismo è innocuo, da qualunque parte si manifesti. Quello delle destre, viscerale, ideologico, protezionista della omogeneità genetica, razziale, religiosa, etnica, culturale. Sovranista, sciovinista e xenofobo. Ma non meno subdolo e pericoloso è quello di quella sinistra comunista e internazionalista che vorrebbe una diversa, ma analoga, omogeneità delle persone sulla scorta dell’idea, già illuminista, per cui tutti gli uomini sono uguali sulla base della loro comune natura umana (specie se proletaria). Un’uguaglianza che dovremmo pagare rinunciando alle nostre specificità, alle nostre diversità identitarie. Insomma, siamo tutti liberi di essere tutti necessariamente uguali. E l’uguaglianza diventa una prigione, anziché una liberazione. Il comunismo ci libera dalla schiavitù di classe e ci imprigiona nella schiavitù dell’omologazione verso il nostro minimo comune denominatore, quello naturale.
Per essere chiari, la destra (troppo spesso fascista) mi vede come nemico in quanto diverso, mentre la sinistra comunista, per riconoscermi diritto di cittadinanza nella società (degli uguali), pretende che io rinunci a me stesso.
Quando poi a questo si aggiunge il nostro rapporto con lo stato d’Israele, allora le cose si complicano ulteriormente. La destra, infatti, mi è falsa amica in quanto mi vede soprattutto come baluardo avanzato contro il nemico arabo/islamico (che quanto a diversità mi batte di un bel po’), e non tralascia mai, tuttavia, di rovesciarmi addosso i suoi pregiudizi: la mia sporcizia, il mio legame con il denaro, il mio passato usuraio, la mia religione irriconoscente, la mia caparbia diversità, la mia lamentela vittimista e il mio anti-eroismo da schlemiel.
La sinistra comunista, invece, sempre dichiarandosi a difesa del più debole, pretende che, nel mio omogeneizzarmi ai reietti della terra, mi dissoci non solo dalla politica di un governo israeliano, ma dalla stessa esistenza dello stato di Israele e dall’idea sionista. Dimenticando, la sinistra comunista, da quali ideali, ma soprattutto (a beneficio della loro stessa memoria) dalle ceneri di quale ‘civiltà’ sia, per buona parte, nato il sionismo. E si pensa allo sterminio nazista, ma anche al ben programmato e continuo sterminio perseguito dai pogrom zaristi e, poi, dalle purghe staliniste. A chi la storia, passata e recente, abbia riservato il destino del reietto rimane ancora da verificare.
Ce n’è, dunque, per tutti. Nessuno va esente. A destra e a sinistra. Prima e dopo la guerra. I pretesti, sempre gli stessi. Con paradossale analogia, a destra come a sinistra.
La signora Vera Pegna, scrittrice di una qualche notorietà, ha chiesto che ci dissociamo, in quanto ebrei, da Israele e dal sionismo, e la giornalista che con lei interloquiva non ha saputo che concordare (Moked 26/02/2019). Non riesco a farmene una ragione. Che frequentatori del pensiero possano banalizzare così la realtà del loro prossimo e semplificare la storia sulla base di una ideologia fagocitante suona scandaloso, offensivo, e biecamente razzista. Perché razzista è banalizzare la realtà che riguarda gli altri, senza approfondirla, senza cercare minimamente di comprenderla offrendole il beneficio dell’intelligenza.
La signora Pegna ci vuole invece uguali a lei, comunisti e anti-sionisti. E antisemiti. Assolvendosi a priori, peraltro, perché dire ‘sporco ebreo’ non è un’offesa.
Eppure, la signora Pegna merita un ringraziamento. Ricordandoci infatti di essere lei stessa una ebrea non ebrea, ossia di una origine ebraica in cui non si riconosce, ci ha indicato la via per la soluzione del nostro secolare problema.
Era Benedetto Croce a pretendere che a risolvere il cancro dell’antisemitismo fossimo noi, assimilandoci. Sarebbe stata la soluzione più semplice, in effetti: mettere fine all’ebraismo e alla nostra ‘estraneità’ che tanti problemi aveva provocato alla civiltà europea e, soprattutto a noi stessi. Insomma Auschwitz, alla fine, è colpa mia e della mia diversità, e gli altri, tutti gli altri sono innocenti. Anche la signora Pegna.

Dario Calimani, Università di Venezia

(5 marzo 2019)