Pio XII, l’apertura dell’archivio

rassegnaSui quotidiani di oggi, ampio spazio all’annuncio di Bergoglio dell’apertura il 2 marzo 2020 degli archivi inerenti il pontificato di Pio XII (1939-1958). La Chiesa non ha paura della storia, Pacelli merita una valutazione oggettiva, il messaggio del papa. Da oltre mezzo secolo gli studiosi della Seconda guerra mondiale e della Shoah, riporta sul Corriere della Sera Luigi Accattoli, sono “interessati in particolare a una piena conoscenza degli atti di quel Pontefice nei confronti dello sterminio degli Ebrei: la questione del cosiddetto ‘silenzio di Papa Pacelli’ che fu sollevata la prima volta nel 1963 dal dramma II Vicario di Rolf Hochhuth”. Accattoli ricorda il titolo dell’approfondimento di ieri sul notiziario Pagine Ebraiche 24, in cui si definiva l’apertura dell’archivio “un atto atteso da lungo tempo” e la valutazione della storica Anna Foa, il cui auspicio è che la decisione “possa aiutare a risolvere due leggende: quella nera e quella rosa”. Per Iael Nidam Orvieto, direttrice dell’International Institute for Holocaust Research dello Yad Vashem, la notizia è “importante anzitutto per la Chiesa cattolica. Fare i conti con la propria storia e affrontare il proprio passato con serenità e volontà di imparare è cosa utile”. Intervistata da Repubblica, la studiosa sottolinea come la mancanza di una denuncia dello sterminio ebraico da parte di Pacelli sia cosa nota, “ciò che non sappiamo è il perché di questa politica, le ragioni e i criteri che l’hanno generata, cosa è accaduto insomma dietro le quinte. Tutto ciò dovrà ora essere accuratamente analizzato”. La Stampa riporta le reazioni del mondo ebraico italiano, dall’apprezzamento espresso dalla presidenza UCEI alla valutazione del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni – “Il nostro giudizio storico sugli eventi non cambia” -. Per Andrea Riccardi, intervistato dal quotidiano torinese, “la chiusura di un archivio non faceva una bella impressione, ora parlerà la storia”. “Decidere di restituire Pio XII a un lavoro storico che non cerca di mettergli in testa aureole o cenere, – scrive Alberto Melloni su Repubblica – ma di capire il percorso di negligenza spirituale che rese un’intera Chiesa inerte davanti al crimine dei nazisti e dei fascisti è un buon servizio alla Chiesa, un favore alla cultura pubblica di chi, come noi italiani, ha sciacquato in fretta la propria colpa”.

Bernard-Henri Lévy e la ricostruzione dell’Europa. Al Teatro Parenti di Milano lo spettacolo di Bernard-Henri Lévy dà inizio questa sera alla sua tournée europea in venti tappe. Il testo affronta le sfide dei populismi ed è raccolto nel libro “Looking for Europe”. Intervistato da La Stampa, il filosofo francese spiega che “mancano cinque minuti a mezzanotte” dell’Europa, dopo “O assisteremo al trionfo della nuova internazionale populista che va da Salvini a Le Pen passando per Orban. Oppure avremo il risveglio delle forze democratiche liberali e repubblicane. È un momento storico”. Il suo obiettivo è risvegliare le seconde e fare in modo che si mobilitino. “Sono vent’anni in Italia, e trenta in Francia, che il veleno è fra noi e che non osiamo contestarlo apertamente. I risultati sono evidenti. Evitare l’attacco frontale è stato disastroso, questo è sicuro. Allora bisogna cambiare approccio e chiamare un gatto ‘gatto’, un populista ‘populista’ e un neofascista ‘neofascista’”, afferma Lévy.

6 marzo, tributo ai Giusti. Sotto la spinta di Gariwo, presieduta da Gabriele Nissim, è stata istituita nel 2012 la Giornata europea dei Giusti, che si celebra il 6 marzo, solennità civile in Italia dal 2017. “Diverse le iniziative domani in varie città, – riporta il Corriere – a partire dal Concerto per l’Europa dei Giusti, con Antonella Ruggiero, nel Duomo di Milano”. “Oltre alle vittime è necessario onorare chi ha usato e usa tuttora la sua libertà per opporsi al male”, sottolinea Nissim in un editoriale pubblicato da Avvenire, denunciando anche l’antisemitismo montante in Europa. “Sono ebreo. Quando vedo il nuovo clima antisemita che si respira in Francia provo un senso di angoscia. – scrive il presidente di Gariwo – Quando vedo gli attacchi al sionismo e sento che l’unico Stato al mondo che non avrebbe il diritto all’esistenza per una colpa originaria sarebbe quello di Israele, mi viene la pelle d’oca. A nessuno era mai venuto in mente di chiedere la distruzione della Russia quando c’era il comunismo, come ha scritto Alain Finkielkraut, e nemmeno oggi quando si ricordano i diritti negati alle donne in Iran o in Arabia Saudita, o gli stessi crimini di Assad in Siria, si pensa di mettere in forse la legittimità di quegli Stati”.

Le note di Castelnuovo-Tedesco. Al Teatro Verdi di Firenze, il tributo dell’Orchestra della Toscana diretta da Daniele Rustioni a Mario Castelnuovo-Tedesco con l’esecuzione de suo I profeti: un Concerto commissionato dal leggendario violinista Jascha Heifetz (che lo eseguì nel 1933 a New York, direttore Arturo Toscanini) come risposta al montante antisemitismo europeo (Repubblica Firenze).

Il diritto di parola. “Colpisce l’immagine di Alain Finkielkraut che guarda attonito i volti carichi d’odio dei gilet gialli mentre lo ricoprono di insulti antisemiti in nome del ‘popolo di Francia’ – scrivono sul Corriere Giulio Giorello e Corrado Sinigaglia – perché rivela, con la potenza che solo le immagini sanno avere, la violenza e insieme la viltà di un attacco a un ‘ebreo’, destinato a rimanere ‘errante’ e, dunque, privo qualsiasi diritto di cittadinanza”. Per le due firme del Corriere gli attacchi a Finkielkraut così come la campagna anti-Soros di Orban in Ungheria mettono in pericolo la “convivenza civile che difende la libera espressione delle differenze, consentendo a ciascuno di esplorare le proprie potenzialità e i propri limiti”. A proposito di attacchi, lo storico Georges Bensoussan – ripreso dal Foglio – denuncia come “in dieci anni, l’80 per cento degli ebrei di Seine-Saint-Denis ha lasciato il dipartimento. Qualcuno ha sentito invocazioni a protestare?”.

Netanyahu per il Financial Times. Il Corriere riporta l’editoriale del Financial Times in cui si ricordava come in Israele “L’ultima volta che un primo ministro è stato indagato per corruzione, un ambizioso leader dell’opposizione lo invitò a dimettersi”. Il riferimento è alla richiesta nel 2006 di Benjamin Netanyahu, allora leader dell’opposizione, al premier Ehud Olmert. Ora, sostiene il Financial Times, il leader del Likud deve seguire l’esempio: “Israele si vanta di essere un modello di democrazia in una regione di autocrati, dimostri di essere all’altezza”.

Daniel Reichel twitter @dreichelmoked