Un giorno contro l’antisemitismo

baldacciL’estendersi (meglio sarebbe dire il dilagare) dell’antisemitismo in Europa e anche nel nostro Paese è sotto gli occhi di tutti, nonostante i silenzi, le reticenze e la cattiva informazione di tanta parte delle TV e della stampa, solo che si vogliano usare gli occhi per vedere e le orecchie per sentire. Antisemitismo che prende le forme più diverse, dalle più becere e volgari a quelle che vorrebbero assumere le forme della critica o addirittura dell’analisi politica ma che finiscono tutte per rafforzare una tendenza che è diventata senso comune: ripetere i più tradizionali stereotipi antiebraici, disegnare un’immagine distorta e perfino caricaturale dello Stato d’Israele. Quando si usano parole come “apartheid”, “pulizia etnica”, “genocidio” è evidente che non è più possibile una distinzione tra un antisemitismo volgare che trova sfogo nei cori degli stadi e nelle scritte oscene sui muri e un antisionismo che non critica questa o quella condotta del governo israeliano ma nega alla radice il diritto all’esistenza stessa di uno Stato degli ebrei o ne dà un’immagine così caricaturale e distorta da richiamare inevitabilmente alla memoria una tradizione antisemita le cui conseguenze sembrano oggi essere state rimosse.
L’antisemitismo dei nostri giorni mantiene quella carica di irrazionalità e di visceralità che gli permette di penetrare negli angoli meno protetti delle coscienze più deboli, ma indossa anche i panni della critica politica e ideologica ed è questa veste che gli fornisce il lasciapassare per entrare nei luoghi della politica e perfino della cultura, anzi, per rientrare, perché a lungo da quei luoghi era stato espulso mentre oggi la sua presenza è di nuovo invadente e pervasiva.
A lungo, negli anni che sono seguiti alla fine della II guerra mondiale, l’antisemitismo politico è stato patrimonio pressoché esclusivo dell’estrema destra. Come tale era confinato in un ambito che permetteva di isolarlo e perfino di ignorarlo. D’altra parte la guerra fredda aveva fatto sì che l’Unione Sovietica assumesse un atteggiamento ostile verso lo Stato d’Israele e a questa linea si erano adeguati i Partiti comunisti europei, compreso quello italiano; ma – almeno fino alla guerra dei Sei giorni – questa ostilità rimaneva confinata all’ambito dei rapporti internazionali e non contribuiva a modificare l’immagine del mondo ebraico e nemmeno quella dello stesso Stato d’Israele. Il periodo che è seguito alla guerra dei Sei giorni, con l’esplodere del terrorismo palestinese e le profonde modifiche che si sono prodotte soprattutto nel mondo giovanile con il movimento del ’68, hanno fatto emergere una realtà politica nuova, quella di un’estrema sinistra che – con una radicalità sconosciuta al linguaggio del PCI – ha costruito una nuova narrazione antisionista che è durata nel tempo e che è giunta fino ai giorni nostri. Tuttavia non si poteva ancora dire che questa nuova forma di odio fosse diventata senso comune diffuso, perché, al contrario, quella che si imponeva era l’immagine degli “opposti estremismi”: si può dire che la grande maggioranza dei cittadini restasse estranea sia alla truculenza dell’antisemitismo neofascista sia ai fumi ideologici dell’antisionismo dell’estrema sinistra.
Negli ultimi anni – ma l’inizio di questa nuova fase risale a qualche decennio fa – il quadro si è profondamente modificato: l’antisemitismo becero e volgare ha superato i confini dei ristretti gruppetti neofascisti ed è dilagato nei comportamenti di gruppi sociali più vasti. Al tempo stesso l’antisionismo è andato estendendo la sua presa soprattutto nella direzione dell’area di sinistra democratica che a lungo ne era rimasta immune: ai nostri giorni sempre più vediamo fare professione di antisionismo partiti come quello laburista inglese e quelli di indirizzo socialista della Scandinavia, per non parlare di quanto avviene nell’universo populista, in Italia e altrove. Se poi si guarda a quello che accade all’ONU ci si rende conto che l’antisionismo è diventato, passo dopo paso, una dottrina pressoché ufficiale dell’organizzazione delle Nazioni Unite.
Di fronte a questo rinnovato dilagare dell’antisemitismo non si può dire che non ci sia stata reazione, sia da parte delle Comunità ebraiche che di uomini politici, di giornalisti, di intellettuali. Ma è stata una reazione debole, soprattutto quella del mondo della politica e della cultura non ebraica, che non è stata finora in grado di rovesciare l’espandersi dell’antisemitismo e di proporre una diversa lettura della realtà capace di coinvolgere, soprattutto, il mondo giovanile.
Esiste in Italia una realtà che è caratteristica del nostro Paese e che non è presente – almeno nelle stesse dimensioni – in altri Paesi europei: quella delle Associazioni che, con vari nomi e denominazioni, si richiamano all’amicizia verso Israele e alla lotta contro l’antisemitismo e i cui aderenti sono, in maggioranza, non ebrei. È una realtà diffusa, soprattutto nelle città del Centro-Nord; ma è una realtà debole perché divisa, frantumata da personalismi che mostrano tutta la loro irrilevanza di fronte al compito e alla funzione che queste Associazioni dovrebbero svolgere, quella, soprattutto, di contrastare l’antisionismo nel mondo giovanile. Lasciando da parte divisioni e personalismi, sarebbe questo il momento per una grande iniziativa alla quale partecipino tutte le Associazioni che si richiamano all’amicizia per Israele, una giornata contro l’antisemitismo, che sia il punto di partenza per un’azione diffusa e capillare di contrasto a tutte le forme di antisemitismo e di antisionismo presenti nel nostro Paese. Sono certo che a questa iniziativa non mancherebbe l’appoggio e la partecipazione di una parte rilevante del mondo politico, del giornalismo, della cultura.

Valentino Baldacci