collettività…

“Veikhas e’anan et ohel mo’ed ukhvod A’ malé et ha miskan – E la nube di fumo avvolse la Tenda della Radunanza e la Gloria di D-o riempì il Santuario”.
Con questo verso che ci racconta l’istituzione del culto del Mishkan, si conclude il libro di Shemot.
Non con poche critiche fu costruito il Mishkan – luogo che accentrava tutte le istituzioni del popolo ebraico – tant’è che Mosè fu costretto a rendere pubblico e dettagliato il conteggio delle spese – “Elle pekudé ha mishkan – Questo è il conteggio del Mishkan” – ossia delle spese sostenute per la costruzione del Santuario.
Un leader, anche si trattasse di Mosè in persone, è sempre esposto a critiche da parte della sua gente, soprattutto se ha l’obiettivo di fare qualcosa di necessario per essi.
L’importante è la chiarezza e la limpidezza con cui ciò si effettua. Tutto questo finché l’opera non viene completata; da quel momento in poi però, tutti si ritrovano ad essere un unico popolo, tanto da meritare la presenza divina su di essi. Nel deserto, racconta il midrash, il popolo era protetto da una “Nube divina” che lo preservava dai pericoli circostanti e sotto quella Nube, tutti meritavano la benedizione divina come “mamlekhet kohanim ve goi kadosh – Reame di Sacerdoti e popolo santo”.
La nostra storia si ripete nel corso dei millenni e, chiunque agisce è soggetto a critiche da parte degli altri. È per questo che il popolo ebraico viene definito “am echad – popolo unico”; ogni elemento che forma questo popolo così diverso dagli altri, ha il dovere di rendersi disponibile a collaborare per il bene della sua gente.
La costruzione del Mishkan ha visto la partecipazione di ogni singolo ebreo: c’era persino chi si addentrava, persino nel kodesh ha kodashim – la parte più interna di esso quella in cui poteva accedere soltanto il Sommo Sacerdote una volta all’anno – ma, appena completata l’opera, ognuno riprende il suo ruolo. Persino colui che era più in basso nella scala sociale, tornava ad essa.
Ognuno di noi, soprattutto per far sì che la proprietà dell’istituzione fosse anche un po’ sua, può addentrarsi all’interno delle cose più riservate; alla fine però dobbiamo essere tutti partecipi e collocati diversamente nei vari ruoli.
Considerare il nostro popolo come una grande famiglia, con tutte le sue preoccupazioni, ma anche con tutte le sue gioie, porta sicuramente al godimento collettivo di ogni momento della nostra vita ebraica.

Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna

(8 marzo 2019)