Periscopio – Quattro madri

lucreziLa ricorrenza della Festa della donna, lo scorso 8 marzo, ha dato occasione, in tutto il Paese, a una molteplice serie di manifestazioni, svolte in vari contesti sociali e culturali, destinate a “fare il punto” sullo stato di avanzamento della lunga e faticosa battaglia per l’emancipazione femminile, con una ricostruzione dei diversi successi, più o meno significativi, raggiunti nei vari Paesi, e delle molteplici resistenze che ancora, com’è ben noto, si frappongono a tale fondamentale battaglia di civiltà. Anche nel mondo ebraico – da sempre particolarmente sensibile al tema -, non sono mancate importanti occasioni di riflessione, illustrate anche sulle colonne di questa testata. Da parte mia, ho tratto molti spunti e sollecitazioni dalla partecipazione a un importante simposio, a cui ho avuto l’onore di essere invitato, organizzato presso l’Università Federico II di Napoli dalla Collega Maria d’Arienzo, sul tema “La donna nei diritti religiosi: principio di eguaglianza e diversità di genere”, con la partecipazione (oltre al Rettore della Federico II, Gaetano Manfredi, al Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Sandro Staiano, al sottoscritto e a diversi altri studiosi e rappresentanti di istituzioni accademiche) dell’Imam Ataul Wasih Tariq (Vicepresidente della Ahmadiyya Muslim Jama’at), del Rav Haim Fabrizio Cipriani (rabbino delle Comunità ebraiche di Marsiglia e Montpellier) e del Rettore emerito dell’Università cattolica di Parigi, Patrick Valdrini.
Si è ovviamente affrontato, nel corso dell’incontro, da una pluralità di prospettive, il tema di fondo di quanto e come, nella storia, le diverse religioni abbiano contributo – o, almeno, abbiano rispecchiato – la millenaria condizione di soggezione della donna, o, al contrario, abbiano rappresentato uno strumento per la sua protezione e promozione materiale e spirituale. La risposta a una simile domanda, ovviamente, non può non essere fortemente articolata e diversificata, a seconda dei diversi contesti spaziali e temporali. Non solo, com’è noto, le religioni non sono tutte uguali, ma anche ciascuna di esse non è mai rimasta uguale nel tempo e nello spazio. Una donna ebrea che viva oggi a Tel Aviv o a New York, anche se religiosamente osservante, si trova ovviamente in una condizione ben diversa di quella di una sua correligionaria dell’epoca del Primo o del Secondo Tempio, o di uno shtetl russo o polacco del XVIII o XIX secolo, così come la considerazione della donna nell’odierna cultura cattolica è ben lontana, per fortuna, da quella dei tempi di Paolo o Ambrogio. E i cambiamenti, si sa, non sono sempre in meglio: la condizione della donna in Iran, per esempio, è bruscamente e radicalmente peggiorata dopo la cd. Rivoluzione islamica del 1979.
Non credo, dal mio punto di vista, che – se ci si prefigge l’obiettivo di ottenere degli effettivi miglioramenti sul piano della lotta alla disuguaglianza e alla sopraffazione – sia utile e proficuo dare la pagella alle varie religioni, considerate in astratto, o, ancor meno, alle sacre scritture che fanno ad esse da fondamento. I testi delle religioni rilevate sono quelli che sono, e non sono emendabili. E tutti – sia che vengano considerati di origine divina, sia di creazione umana – contengono, nella loro lettera – sia pure in varia misura e con diversi linguaggi -, dei messaggi piuttosto espliciti riguardo a una forma di ‘naturale’ soggezione della donna rispetto all’uomo. Come e perché ciò sia accaduto, non è certo argomento da potere essere sbrigativamente liquidato. Ma la cosa più importante, a mio avviso – e forse l’unica che permetta di esprimere un reale giudizio su quanto di bene o di male le religioni abbiano portato al progresso dell’umanità (perché l’emancipazione femminile è parte integrante di tale complessivo processo, l’inferiorità della donna è sempre anche un danno per l’uomo, anche se non se ne rende conto) -, è la valutazione di quanto l’interpretazione dei testi funga da lievito di un pensiero libero, critico, dubitativo, attualizzante, che guardi alla lettera del testo come a una sollecitazione a meditare non solo sul bene, ma anche sul male che possa essere scaturito, in passato, da quella medesima lettera. Di un pensiero che non neghi il passato, che non faccia finta che non ci sia mai stato, o – peggio ancora – che sia sempre stato rose e fiori, ma che sappia trarne insegnamento al fine di un presente e di un futuro migliori. Da questo punto di vista, l’interpretazione rabbinica rappresenta, com’è noto, uno straordinario esempio di libertà, vitalità, creatività, proprio perché da sempre fondata sulla dialettica, sulla contraddizione, sulla domanda, sul cambiamento. Ciò non vuol, dire, ovviamente, che essa sia sempre stata, o sia sempre ineluttabilmente indirizzata a beneficio delle donne, ma che abbia in sé l’intrinseca attitudine – anche, quando necessario, correggendo gli errori del passato – a distillare dall’universo femminile il suo enorme potenziale di umanità, intelligenza, generosità, fantasia. E a farlo anche in nome delle tante donne che, in passato, hanno sofferto, anche in nome della religione. Perché, se i Padri di Israele sono tre, quattro sono le Madri.

Francesco Lucrezi, storico