25 luglio 1943

“25 luglio 1943” di Emilio Gentile, edito da Laterza l’anno scorso, contiene moltissime trascrizioni di documenti e non orienta più di tanto verso lo scioglimento non di un mistero ma di un caso di follia istituzionale che portò gli ebrei dal ripristino virtuale del ghetto verso un itinerario che condusse loro dalla connotazione di paria a quella di cacciagione. Intendiamoci, anche ora ci sono dei tour lungo la penisola che, ripristinando la demonizzazione di Israele, possono portare alle stesse conseguenze nei riguardi degli ebrei tutti. Come disse Agnes Heller a “Il Manifesto” del 15 marzo u.s. “Voglio dire che se si boicotta Israele per il conflitto con i palestinesi, perché non boicottare anche la Turchia vista la situazione difficile dei curdi che per certi versi non ha pari neanche in Israele? Nessuno prende l’iniziativa di boicottare la Turchia e ciò dimostra che la critica verso Israele è basata su un’ostilità di fondo verso gli ebrei”.
Nel caso che ci occupa, il 25 luglio 1943 è una nostra carta d’identità, è qualcosa che accomuna noi tutti in quanto italiani, a prescindere dalla fede religiosa, è un passato che andrebbe riletto per comprendere l’oggi e il domani. È un’ambiguità figlia di diversi genitori e che non riusciamo a toglierci di dosso.
Cosa spinse il Gran Consiglio del fascismo a scaricare come un ferro vecchio quel Benito Mussolini che era stato trasformato in una divinità terrena che, per puro caso, aveva scelto come dimora non l’Olimpo ma il nostro Paese? La parola ‘adulazione’ si trova tre volte nel volume di Gentile (ma avrebbero potuto essere trecento) ed è riduttiva rispetto alla realtà dei fatti. Adulazione che si ritrova ne “Il cielo cade”, di Lorenza Mazzetti, un libro del 1961 che andrebbe letto nelle scuole ebraiche, se non altro per riscattarle dalla povertà dei comuni libri di testo, magari invitando l’autrice, che abita vicino alla c.d. piazza.
In tesi, sarebbe del tutto incomprensibile l’ordine del giorno Grandi, il quale nei fatti defenestrava Mussolini, malgrado le letture edulcorate di chi stava per essere fucilato a Verona. Come potrebbe spiegarsi che il vertice del regime avesse deciso, seguendo procedure del tutto legittime, di chiamarsi fuori dal regime di cui era stato magna pars? In quel momento, gli alleati erano sbarcati in Sicilia, contrastati dai tedeschi, avviati a sostituirsi agli italiani. Allo scarso entusiasmo degli italiani, sovrastati dai tedeschi, faceva da contraltare la discordia fra George Patton e Bernard Montgomery che, oltre ad intralciare le operazioni, consentì ai nazisti di ritirarsi indisturbati dall’isola.
Con la Sicilia in mano alleata (anche se le operazioni non erano finite) il regime mostrava la sua facciata di cartapesta, che lo rendeva forte coi deboli (ebrei ed africani) e debole coi forti (tedeschi ed alleati). A tutta prima, appare improponibile il maquillage dei membri del Gran Consiglio tentato con l’ordine del giorno Grandi, col quale provavano ad apparire come vittime, anziché complici, di Mussolini. Tuttavia, quella era una congrega non di pazzi ma di opportunisti. Avendo disposto gli Alleati di non accettare altro che una resa incondizionata, non era escluso che i gerarchi fascisti potessero essere fucilati come criminali di guerra. Esautorando Mussolini, riuscirono ad arrivare a vecchi, fatta eccezione per gli ingenui e/o sfortunati Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Carlo Pareschi, i quali furono condannati a morte e fucilati. In particolare, Ciano non trovò di meglio che fuggire in Germania anziché, per dire, in Portogallo. Gli altri condannati a morte sfuggirono alla cattura e morirono di morte naturale in tarda età, quasi che la furbizia fosse un toccasana per la salute.
Così come l’Italia, dichiarando la guerra alla Francia nel 1940, uccise un uomo morto, il Gran Consiglio, con l’ordine del giorno Grandi, fece altrettanto col Duce. Quell’incredibile giravolta, mentre risparmiò la vita dei partecipanti, consegnò in un vassoio d’argento l’Italia e gli ebrei ai nazisti. Ne consegue che non sarebbe azzardato considerare che quel gruppo d’ignavi fu, per gli ebrei italiani, addirittura peggiore del Duce.
Per noi italiani, il 25 luglio 1943 dovrebbe essere un motivo di riflessione sul bene che la furbizia elargisce a chi ne fa uso e sulla disgrazia che comporta per il resto della società. Giuseppe Prezzolini diceva che gli italiani si dividono in furbi e fessi, mentre Indro Montanelli ebbe a correggerlo, asserendo che anche i furbi sono dei fessi. Tutto vero, i furbi sono dei fessi, purché si consideri che sullo sfondo aleggia l’assenza di qualsiasi principio morale, assenza intesa come autoreferenzialità e indifferenza per il prossimo; una questione di asocialità, che non conosce destra e sinistra, fede e ateismo, e si dimostra tanto diffusa quanto trasversale.

Emanuele Calò, giurista

(26 marzo 2019)