Conoscere il limite

ravmomi“Il Signore parlò a Mosè e ad Aharon dicendo loro: Parlate ai figli d’Israele dicendo loro – Questi sono gli animali che potrete mangiare tra tutti i quadrupedi che sono sulla terra… Questi potrete mangiare tra tutti gli animali che stanno nell’acqua…E questi considererete come abominevoli tra i volatili….” (Lev. 28, 1-2;9; 13)
Nechama Leibowitz (grande figura di donna nel mondo ebraico contemporaneo, che non ebbe bisogno di fregiarsi di alcun presunto titolo rabbinico per essere riconosciuta e ricordata come interprete autorevole, profonda e sensibile dei testi biblici), dopo aver presentato diversi approcci esegetici riguardanti le norme della Torà sugli animali di cui è proibito cibarsi, si orienta invece verso un tipo di interpretazione in cui non si va alla ricerca di spiegazioni legate alla tipologia o all’indole degli animali oggetto di divieto, quanto si propone una spiegazione che cerca di dare significato al fatto stesso di trovare nella Torà prescrizioni e limitazioni nell’ambito della alimentazione: “Tali proibizioni non sono dovute al fatto che le caratteristiche indicate come segni di impurità di questi animali possano in qualche modo essere nocive all’uomo, sono invece finalizzate a che la persona abbia sempre ben presente l’autorità di D.O creatore, che ricordi come il mondo e tutto ciò che in esso si trova non è a sua libera disposizione, appartiene al Creatore, l’uomo non potrà goderne se non dopo averne chiesto il permesso al Signore.” (N. Leibowitz – Nuove ricerche sul Libro del Levitico – Parashà Sheminì)

In sostanza quindi queste norme si affiancano a tanti altri precetti attraverso i quali la Torà può educare l’uomo a riconoscere i propri limiti di azione e di intervento nel mondo, come il Sabato, che interrompe il lavoro di produzione e trasformazione della materia e della natura, come le leggi sull’anno sabbatico (shemità) e il giubileo (yovel), che impongono limitazioni all’utilizzo della terra e della proprietà, come l’obbligo di far precedere anche una minima assunzione di cibo o altro godimento di beni di natura da una benedizione, che non è solo di ringraziamento al Signore, ma una vera e propria richiesta di autorizzazione, senza la quale l’utilizzo dello stesso prodotto è considerato come un abuso sacrilego, un’appropriazione indebita di qualcosa che, nel senso più profondo, non ci appartiene affatto, anche se di fatto lo possediamo o lo abbiamo regolarmente acquistato. Queste prescrizioni della Torà sulla alimentazione, così come quelle riguardanti la condotta sessuale, tendono a regolare , a stabilire confini, in definitiva possono essere interpretati come forme di educazione, mediante le quali l’uomo, nel rapporto con il Creatore, impara a gestire correttamente alcuni istinti naturali della vita.
Il concetto di limite viene oggi richiamato in altri ambiti, a quanto pare, per ora, con esiti poco incoraggianti. La necessità che viene ormai posta in termini ultimativi, di stabilire, anche di imporre dei limiti all’azione dell’uomo, in relazione agli effetti catastrofici che questa comporta, sull’ambiente, sulle risorse della natura e sulle stesse possibilità di continuità di vita sulla terra, ha il grave difetto di apparire per certi versi in contraddizione con la diffusione corrente di tanti altri criteri di scelte e valori di vita nei quali il messaggio dominante è l’assoluta libertà di azione dell’uomo, ad esclusione di comportamenti che si presentino con evidenza come violenti o perniciosi nell’immediato; il concetto di limite, come criterio che l’uomo riconosca quale scelta di vita, trova di fatto ben poco spazio nel mondo contemporaneo. Il valore educativo del concetto di limite condiviso, che troviamo in molti precetti della Torà, è dato anche dal fatto che è la stessa delimitazione di confini a valorizzare l’azione dell’uomo, questo può dirsi naturalmente dal punto di vista religioso, in quanto in tal modo l’opera diviene gradita e incoraggiata da D.O, ma anche dal punto vista umano, in quanto attraverso l’accettazione di un limite si esprime la capacità di gestire in modo positivo passioni ed istinti, senza comprimerli drasticamente, ed in quanto questa impostazione di vita tende a rivolgere l’iniziativa dell’uomo verso prospettive più ampie, non esclusivamente egoistiche, in direzione di un bene della collettività e nello sguardo rivolto alle generazioni future.
Anche se i precetti della Torà sono rivolti nello specifico al popolo ebraico, forse possono costituire un valore di riferimento universale, relativamente al fatto che, per l’uomo e per il futuro dell’umanità, sia necessario ripensare al concetto del limite con progetti educativi e scelte di comportamento che riguardino tutta la vita, tentare di imporlo solo in alcuni ambiti di iniziativa potrebbe rivelarsi irrealizzabile.

Giuseppe Momigliano, rabbino