L’intervista alla Presidente UCEI
“Attenti ai nuovi indifferenti”

Dalla Memoria come esercizio di civiltà al pericolo dell’indifferenza, dall’oblio che offusca la verità storica alla sfida educativa. Questi alcuni dei temi toccati in una intervista di Patria Indipendente, l’organo di informazione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, alla presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. Filo conduttore dell’intervista, realizzata da Giacomo Verri, il centenario dalla nascita di Primo Levi e il significato della sua testimonianza e produzione letteraria.
Oltre a falsificazione della storia organizzazione dell’oblio, per la Presidente UCEI sono tre le distorsioni che oggi mettono in pericolo il futuro della Memoria.
Una, afferma, è la forma moderna d’indifferenza. “Se ignavi erano quelli che durante la Shoah si voltavano pensando che in qualche modo la cosa non li riguardasse, oggi il nuovo indifferente è chi crede si possa non avere a che fare con la memoria. Di qui l’impegno istituzionale dell’UCEI di far capire che l’ascolto delle tracce della Shoah, e fra tutti il racconto di Primo Levi che per noi è un punto di riferimento assoluto, si traduce nel dovere di fare il conto con la propria moralità, per costruire una coscienza di italiani”.
La seconda, prosegue, è quella di coloro che deridono o riducono o usano la Shoah come oggetto di burla. “Questo – rileva – è forse l’atteggiamento, oggi, che fa più male, perché riesce ad andare oltre alle già ignobili tesi del complottismo secondo cui gli ebrei sono la causa di ogni male del mondo e del negazionismo dell’Olocausto”.
Un terzo fenomeno, afferma poi, è legato al tema Israele. “La tendenza cioè ad attribuire a Israele delle politiche, nei confronti dei palestinesi, che pongono dei parallelismi con quanto fecero i nazisti nei confronti degli ebrei. Si tratta – dice – di una distorsione del concetto di sionismo, che è stato, nel XX secolo, l’idea di voler tornare nella terra di Sion dopo millenni di Diaspora.
“Va da sé – prosegue Di Segni – che oggi è Israele, come luogo, a rappresentare la vita del popolo ebraico; ma Israele è un simbolo che prescinde Israele in quanto Stato. E in maniera simile a quanto si fa con Israele, occorre anche fare i conti con quell’importante data simbolica e delicatissima che è il 25 aprile”.
“Il problema del 25 aprile – riflette infatti – è che non è percepito come un’identità forte italiana, come un momento in cui si celebra e si deve celebrare la liberazione dal fascismo. Invece spesso ci si trova a cambiare il 25 aprile nella ‘liberazione da qualsiasi cosa’, accogliendo le pretese di ognuno. E l’unicità del 25 aprile è idealmente collegata alla necessità di distinguere, come ci insegna Primo Levi, i fatti storici l’uno dall’altro, così come si è capito che Auschwitz e la Shoah sono stati eventi eccezionali e (speriamo) irripetibili”.

(1 aprile 2019)