Un amore proibito a Norimberga

Un amore proibito nella Germania di Hitler che camminava spedita verso la Shoah. Ispirato a una storia vera, Il caso Kaufmann è il primo romanzo del giornalista Giovanni Grasso, dal 2015 consigliere del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la stampa e la comunicazione.
Un romanzo “bello, forte e delicato” come scrive la storica Anna Foa nella recensione che apre le pagine culturali di Pagine Ebraiche di aprile in distribuzione. “Forte, nella descrizione del clima razzista che cresce, delle violenze antiebraiche, dei pettegolezzi che si trasformano in pericolose delazioni, in un racconto che ci dice sul clima di consenso ad Hitler più di molti libri di storia. Forte, nella descrizione del degrado crescente delle coscienze degli individui, del controllo e della delazione, della violenza del potere, della vasta complicità delle masse”.
Il libro sarà presentato domani, giovedì 4 aprile, alla Fondazione Marco Besso. Organizzata assieme al Centro di Cultura della Comunità ebraica di Roma, la presentazione è in programma alle 18 con interventi del direttore de L’Espresso Marco Damilano, del rabbino capo rav Riccardo Di Segni e della storica Michela Ponzani. Ad aprire la serata, i saluti del direttore della Fondazione Luca De Mata e della presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello.
Prenotazione obbligatoria a: centrocultura@romaebraica.it

Un amore proibito a Norimberga

Al centro di questo romanzo di Giovanni Grasso, il suo primo romanzo, Il caso Kaufmann, è la storia di una relazione di amicizia e di amore tra un ebreo, un anziano commerciante di Norimberga, Leo Kaufmann, e una giovane “ariana”, Irene Seiler. Siamo nella Germania del 1933. Irene lascia la casa paterna a Berlino per Norimberga, dove vuole frequentare un corso di fotografia. Leo è vedovo, non ha figli, e vive agiatamente fra il suo lavoro e i suoi ricordi. Irene è indirizzata a Leo da suo padre, che di Leo è un amico d’infanzia. Leo la accoglie, le attrezza una mansarda dove possa vivere autonomamente, e instaura con lei un rapporto paterno, non privo di attrazione. Attrazione condivisa dalla giovane, che tuttavia resterà sublimata, senza mai tradursi in una vera e propria relazione. Intanto intorno a loro e alla loro amicizia amorosa il mondo precipita. Le leggi di Norimberga, del 15 settembre 1935, con la legge sulla “protezione del sangue e dell’onore tedesco”, proibiscono matrimoni e rapporti sessuali tra ebrei ed ariani introducendo severe pene detentive, ma solo per il partner maschile della coppia incriminata, ebreo o “ariano” che fosse, che fosse incorso nel reato di “contaminazione razziale”, come veniva definito. Non è più solo la differenza d’età o di religione a dividerli, ma la legge nazista. Le discriminazioni e le violenze si succedono sempre più terribili. Nel 1938 Leo è costretto a cedere la sua azienda ai nazisti, successivamente dovrà lasciare la sua casa per abitare in quelle case per ebrei, una sorta di ghetto, dove gli ebrei venivano ammassati prima di essere inviati in deportazione. Intanto, il rapporto tra i due continua, sempre più difficile, sempre più clandestino, anche perché intorno a loro si è da subito cominciato a mormorare, ad accusarli di avere una relazione proibita. In primo piano fra gli accusatori la portinaia, ex domestica di Kaufmann, da lui licenziata obbligatoriamente con le leggi di Norimberga, e altri vicini: un mondo che nobilita la sua meschinità e le sue piccole invidie ammantandole con il velo della “difesa dell’integrità della razza”. Fino alla fine, all’arresto di Leo, al processo e alla sua condanna a morte. È un romanzo, ma basato su una storia vera. E non solo vera, ma conosciuta ed utilizzata dagli studiosi. Per primo ne ha parlato nel 1961 Raul Hilberg nel suo libro sulla distruzione degli ebrei d’Europa, poi ne ha scritto una giornalista tedesca, Christiane Kohl, in un libro del 2002. Nel frattempo, Giovanni Grasso aveva inseguito le tracce di Hilberg e quelle dei documenti processuali, trasformandole in un romanzo. Leo Kauffmann, il cui vero nome era Leo Katzenberger, era un anziano commerciante ebreo, presidente della locale Comunità ebraica, decapitato nel 1941 sotto l’accusa di aver intrattenuto per dieci anni rapporti sessuali con una giovane “ariana”, appunto Irene Seiler. Anche la donna fu condannata a quattro anni di carcere, accusata di aver reso falsa testimonianza negando di aver avuto una relazione amorosa con l’uomo. Inizialmente, l’uomo era stato dichiarato innocente, dal momento che non c’erano prove di tale relazione sessuale. Ma il passaggio del processo ad un altro giudice, un nazista fanatico, e sembra l’intervento dello stesso Hitler intenzionato a dare un esempio, avevano mutato radicalmente la situazione processuale. Per condannare a morte Leo il giudice dovette però accusarlo di un altro reato, di aver approfittato delle condizioni di guerra, e dovette trasformare Irene da testimone a discarico in imputata di spergiuro, condannandola.
Il romanzo è bello, forte e delicato. Forte, nella descrizione del clima razzista che cresce, delle violenze antiebraiche, dei pettegolezzi che si trasformano in pericolose delazioni, in un racconto che ci dice sul clima di consenso ad Hitler più di molti libri di storia. Forte, nella descrizione del degrado crescente delle coscienze degli individui, del controllo e della delazione, della violenza del potere, della vasta complicità delle masse. È l’immagine delineata con maestria della Germania che diviene nazista. Perché, sembra dirci Grasso, nazisti non si nasce, si diventa, e tutti possono diventarlo. Tutti finiscono per obbedire, prima o poi, al regime nazista e alle sue leggi. Tutti o quasi, tranne Irene, e con lei e con pochi altri quel prete che nell’ultima notte di Leo gli parla come ad un essere umano.
Ma la storia non finì nel 1941. Nel 1947, il giudice nazista Rothaug (nel romanzo Rothenberger), quello appunto che condannò Leo, fu processato dagli americani davanti al Tribunale militare internazionale di Norimberga per crimini contro l’umanità, nell’ambito dei processi secondari di Norimberga. Fu il cosiddetto processo ai giudici e Irene fu tra i testimoni a carico. Dei sedici giudici e avvocati imputati, quattro furono condannati all’ergastolo e Rothaug fu uno di loro. La sua sentenza diceva che “Oswald Rothaug rappresentava in Germania la personificazione degli intrighi e dei segreti nazisti.” Nonostante la condanna all’ergastolo, uscì di prigione dopo sette anni. E proprio sugli atti di questo processo, conservati negli Stati Uniti, il romanzo si appoggia nelle parti finali che trattano del dopoguerra. A questo processo si è ispirato nel 1961 anche Stanley Kramer per il suo famoso film Vincitori e vinti, in cui Judy Garland interpretava il ruolo di Irene.

Anna Foa, Pagine Ebraiche aprile 2019

(3 aprile 2019)