Il canto della Terra

lotoroQualche giorno fa, presso l’Istituto Polacco di Roma, il Polish Piano Trio ha eseguito alcune opere cameristiche del compositore ebreo francese di origine polacca Simon (Szymon) Laks.
Nato l’1 novembre 1901 a Varsavia a quel tempo sotto protettorato russo, nel 1921 Laks intraprese gli studi presso il Conservatorio di Varsavia divenuta capitale della Polonia indipendente; nel 1924 la Filarmonica di Varsavia eseguì una sua opera ossia il poema sinfonico Farys (perduto).
Nel 1926 lasciò la Polonia per Vienna, successivamente si trasferì a Parigi dove continuò gli studi musicali presso il Conservatoire National; nel 1932 Maurice Maréchal e Vlado Perlemuter eseguirono in prima assoluta la sua monumentale Sonata per violoncello e pianoforte.
Szymon LaksNel 1941 Laks fu arrestato dalle autorità tedesche e internato a Pithiviers, nel luglio 1942 fu deportato ad Auschwitz–Birkenau, ivi fu assegnato ai lavori forzati ma dopo un mese ottenne un provino presso l’orchestra maschile di Birkenau e fu ammesso.
Laks aveva grandi capacità organizzative, parlava correntemente sei lingue, era copista, violinista, direttore d’orchestra, compositore capace di rimodulare velocemente le parti d’orchestra in caso di improvvisa scomparsa di uno strumentista.
In breve tempo Laks divenne direttore dell’orchestra maschile la quale, sotto la sua bacchetta, ampliò il proprio organico, raggiunse ottimi livelli qualitativi ed estese il proprio repertorio; Laks ottenne miglior cibo e aumento dei tempi di prova con relativa diminuzione delle ore di lavori forzati.
Entro la fine del 1943 l’orchestra si trasferì presso il Block 5 chiamato Notenschreibern–Block, dotato di sala prove, disponibilità di carta pentagrammata e vasto parco strumenti; sino alla metà del 1944, tra arrivi e partenze, l’orchestra arrivò a contare circa 40 membri tra i quali gli olandesi Louis Bannet, Lex van Weren e Jack de Vries, il pianista ucraino Chapse Alexander Gerenstein, il polacco Haim Lipsky, il violinista tedesco Henry Meyer, il violinista e ingegnere greco Jacques Stroumsa.
L’orchestra suonava per l’autorità tedesca e in occasione di ispezioni o feste notturne per guardie e Prominenten; durante la domenica pomeriggio Laks e i suoi musicisti si esibivano in concerti di musica leggera anche per i deportati, alternandosi con l’orchestra femminile di Birkenau.
Su particolari richieste di guardie e ufficiali SS furono creati ed eseguiti medley musicali per compleanni; diversi ufficiali SS partecipavano alle prove d’orchestra, alcuni di essi versati in qualche strumento si aggregavano agli orchestrali e non di rado sorgevano reciproche amicizie.
Il 28 ottobre 1944 Laks fu trasferito a Dachau (lasciò l’intero materiale musicale nel Block 5 di Birkenau), ivi il 29 aprile 1945 fu liberato dalle truppe statunitensi, il 18 maggio 1945 tornò a Parigi, nel 1948 fu naturalizzato francese; morì l’11 dicembre 1983.
Voce controversa e scevra da ogni sentimentalità post–bellica, oppositore della vulgata secondo la quale nei Lager la musica fornisse speranza e resistenza mentale ai deportati, Laks scrisse nel suo libro Mélodies d’Auschwitz (quasi 40 anni dopo il suo libro Musiques d’un autre monde) che ad Auschwitz la musica era strumento nelle mani dell’oppressore e non delle vittime, aggravava psicologicamente i detenuti incoraggiandoli a lavorare senza riflettere e arrecava loro sofferenza.
Durante il Natale 1943 a Birkenau, Laks e la sua orchestra furono incaricati di suonare per le donne malate in infermeria, in un’atmosfera resa pesante da fetore insopportabile e agonia i musicisti eseguirono canti natalizi; le donne iniziarono a piangere urlando loro di andarsene e lasciarle morire in pace, Laks ne rimase profondamente turbato.
André Laks, figlio di Szymon, scrisse in merito a suo padre: “Auschwitz ebbe poco a che fare con la musica, quella vera. Tra la musica che egli ha scritto dopo la Guerra e la musica “dell’altro mondo” non c’era nulla in comune. Mio padre è stato compositore prima e dopo Auschwitz”; non durante.
Affermazioni agli antipodi del pensiero del compositore Aleksandr Kulisiewicz sopravvissuto a Sachsenhausen (anch’egli polacco) che dal dopoguerra al 1970 abbracciò la missione di recuperare gran parte del patrimonio poetico–musicale creato dai polacchi nei Lager.
Non per nulla, l’incontro a Parigi tra Laks e Kulisiewicz nel 1974 (fortemente voluto da quest’ultimo) fu deludente, un totale insuccesso per Kulisiewicz; due visioni della fenomenologia artistica concentrazionaria inconciliabili, parimenti frutto di profonde sofferenze e amare sintesi esistenziali.
Laks era un ebreo molto assimilato che aveva rotto con la religione e la tradizione ebraica ma, dopo la Guerra, recuperò l’ebraicità nella sua musica che – a differenza della produzione prebellica – tradiva uno spiccato melos ebraico; basti citare il Quatuor n.3, Huit chants populaires juifs, Funeral su testo di Mieczysław Jastrun (riferito alle camere a gas di Birkenau), Elégie pour les villages juifs su poema di Antoni Słonimski, musiche di scena per Les filles du forgeron di Perec Hirschbein.
Nel giugno 1967 scoppiò la Guerra dei Sei Giorni tra Israele e Paesi arabi; nonostante lo Stato ebraico fosse uscito vittorioso dal conflitto, Laks – profondamente sionista – smise di comporre.
Anni dopo confidò al figlio André che, dopo la Guerra del 1967, scrivere musica aveva perduto ai suoi occhi ogni significato; il conflitto arabo–israeliano significava che il popolo ebraico era nuovamente minacciato, che qualcuno desiderava ancora la sua scomparsa e che la propria musica non sarebbe in alcun modo sopravvissuta a una nuova aggressione.
Considerazioni forti sulle quali occorre riflettere; la scrittrice ebrea americana di origine austriaca Susanne Ruth Klüger, sopravvissuta a Birkenau, scrisse che “il nome Auschwitz esercita una sorta di influenza negativa poiché determina fortemente la riflessione su una persona dal momento in cui realizziamo che la stessa persona è stata laggiù. Ma non è così perché, qualunque cosa si possa pensare, io non vengo da Auschwitz; io sono di Vienna”.
A maggior ragione dobbiamo salvare e recuperare tutta la musica che l’uomo è stato capace di creare in quelle drammatiche situazioni; questa musica non è di un altro mondo – come potrebbe far pensare Laks a una prima lettura – ma è il canto della Terra, appartiene all’uomo, è nostra.
Un giorno, ricordando Auschwitz, accadrà che parleremo di musica; soltanto allora le avremo liberate entrambe.

Francesco Lotoro

(10 aprile 2019)