Gioia spirituale
“Al javò bekhol ‘et El ha kodesh – Non vada in ogni momento al Santo”
Il versetto si riferisce alla morte dei due figli di Aharon, i quali morirono per mano divina dopo aver offerto un sacrificio che non gli era stato richiesto.
Il Rabbino Ben ish Chai, famoso maestro cabalista nato a Bagdad, spiega il verso citato, dando alla parola ‘et una somma numerica: 470.
Egli spiega che nel corpo umano c’è la trachea – in ebraico “kanné” – che serve a far gioire l’uomo della spiritualità: essa infatti ha la funzione di immettere l’aria nei polmoni; ha quindi la valenza di concedere all’uomo una gioia spirituale, dovuta alla vita, che si mantiene anche attraverso il respiro.
Il “veshet – l’esofago” invece ha la funzione di introdurre il cibo e le bevande nello stomaco, procurando all’uomo una gioia materiale.
La somma delle due parole ebraiche “veshet più kanné” corrisponde proprio a 470.
Il Sommo Sacerdote – Aharon nel caso specifico della nostra parashà – doveva e poteva entrare nel Kodesh ha Kodashim, nel giorno di Kippur, con una gioia particolare, anche in funzione a ciò che troviamo scritto nel salmo 122 “ho gioito quando mi hanno detto andremo nella Casa del Signore”.
Nel testo della nostra parashà è detto però “non vada bekhol ‘et el ha kodesh – con tutto “et” (470 secondo Ben ish Chai) nel Santo.
Egli infatti spiega dicendo che se fosse entrato anche con la gioia materiale – dovuta forse ad una alta quantità di vino bevuta – avrebbe subìto la stessa sorte dei figli, morti perché si erano avvicinati a cose sacre (avevano offerto un sacrificio) in stato di ubriachezza. Quindi, la sua gioia, nel momento in cui si accingeva ad entrare nel Kodesh ha Kodashim doveva essere soltanto spirituale; è anche per questo motivo che poteva entrarvi soltanto nel giorno di Kippur.
Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna