Periscopio – Piano di pace

lucreziTra poco, quindi, il mondo vedrà quali sono i contenuti del famoso piano di pace americano (“l’accordo del secolo”) per il Medio Oriente a cui, da ormai molto tempo, sta lavorando Jared Kushner, il brillante genero del Presidente Donald Trump (e quindi – in virtù di tale legame familiare – l’unico tra i suoi collaboratori a non potere essere disinvoltamente licenziato: elemento, questo, che lo pone in una evidente posizione di forza e autorevolezza, fino alla scadenza – nel 2021 o 2025 – del mandato del potente suocero).
Non c’è dubbio che le reazioni con cui il piano sarà accolto rappresenteranno un importante test sugli equilibri politici mediorientali e internazionali. Avere rimandato la divulgazione del piano a dopo le elezioni israeliane, evidentemente, rappresenta una forma di riguardo fatta dal Presidente ai candidati al posto di Premier, che hanno potuto così evitare di sbilanciarsi in improbabili promesse o imbarazzanti rifiuti. È certo che, dopo i tre rilevanti ‘regali’ elargiti (la denuncia dell’accordo nucleare con l’Iran, lo spostamento dell’Ambasciata e il riconoscimento della sovranità sul Golan), nel piano di pace saranno previste delle concessioni da parte da Israele, presumibilmente non gradite da questo, ma che, in considerazione del debito di gratitudine nei confronti del richiedente, non sarà facile liquidare con noncuranza. Se le richieste fossero venute prima delle lezioni, è probabile che sarebbe stato soprattutto Netanyahu a trovarsi in imbarazzo (stretto tra le opposte esigenze di non scontentare troppo Trump e di non deludere il suo tradizionale elettorato), ma anche i suoi oppositori non avrebbero avuto gioco facile: è possibile che, se fosse stato costretto a differenziarsi dal suo competitore nelle risposte alle richieste americane (presentandosi, per esempio, in vesti più esplicitamente ‘pacifiste’), il generale Gantz avrebbe perso parte del suo consenso. O forse no, difficile dire.
Ora il piano sarà presentato a un governo sorretto da una solida maggioranza parlamentare, che avrà la necessaria forza per confrontarsi con autorevolezza con l’importante alleato. Certamente Netanyahu rivolgerà ringraziamenti di rito, e probabilmente dirà che il negoziato è una buona base di partenza, o qualcosa del genere. Non dirà di sì (e dire di sì unilateralmente, in ogni caso, non sarebbe pensabile), ma non potrà dire di no. Quanto all’Autorità Palestinese, ovviamente, respingerà il piano come oltraggioso, provocatorio ecc. ecc., già prima di averlo letto. Di Hamas, inutile parlare.
La cosa più importante (e forse il vero obiettivo dell’operazione) sarà saggiare le reazioni pubbliche dei Paesi sunniti cd. moderati, come Arabia Saudita, Egitto e Giordania, ai quali il piano è stato ampiamente preannunciato (e insieme ai quali, almeno segretamente, è stato anche in gran parte preparato). Sarà decisivo, per i futuri equilibri dell’area, vedere in che misura tali Paesi accetteranno di fare parte, almeno implicitamente, di una sorta di coalizione strategica in funzione anti-Iran, basata su una più o meno dichiarata o occulta alleanza politica e militare con gli Stati Uniti, che comporterebbe anche un atteggiamento di minore contrapposizione nei confronti di Israele, in una sorta di silenziosa normalizzazione “de facto”. Se ciò dovesse accadere, sarebbe certamente un fatto positivo, giacché il pericolo maggiore, in questo momento, è certamente il rischio di una penetrazione iraniana in quel che resta della Siria, che va scongiurata ad ogni costo. (Ma il novantunenne ex Presidente egiziano Mubarak ha già detto in un’intervista che l’accordo farà esplodere la regione…). Un altro fatto positivo potrebbe essere un’emarginazione di Ankara, il cui ruolo distruttivo e sinistro è ormai, da molti anni, ben noto.
Naturalmente, ci sarà da ascoltare anche le reazioni dei più importanti protagonisti della scena internazionale. È da dare per scontata la netta opposizione della Russia, e, forse, anche della Cina (i cui interessi nell’area non appaiono però attualmente di particolare rilevanza, e che, probabilmente, potrà inserire il dossier nel quadro di una più ampia trattativa con gli Stati Uniti). Da parte di India e Brasile, verosimilmente, ci dovrebbe essere un atteggiamento di maggiore apertura e interesse. Quanto all’Unione Europea, bisognerà vedere che volto avrà dopo la consultazione elettorale di domenica prossima. Al momento, possiamo solo sperare che, chiunque prevalga, la tradizionale faziosità anti-israeliana dell’UE venga, se non archiviata, almeno un po’ ridimensionata. Per quel che ne penso, comunque, l’Europa, meno si occupa di Medio Oriente, meglio è.
Ovviamente, tutti, ma proprio tutti, sanno benissimo che il piano non sarà accettato, e che la pace (purtroppo: sottolineo la parola, perché molti sono invece felici di questo) non ci sarà. Ciò non vuol dire, però, che il brillante genero e il suo staff abbiano semplicemente perso tempo. Sul tavolo del Medio Oriente si gioca, da almeno 120 anni, una lunga e complicata partita a carte, che vede coinvolti innumerevoli giocatori, che, pur apparentemente desiderosi di vincere questa o quella ‘mano’, si sono talmente abituati a giocare da non contemplare neanche la possibilità che l’estenuante partita (pur tutt’altro che divertente, e spesso crudele) possa, un giorno, finire.
Stiamo a vedere come andrà questo giro. Della fine della partita, non se ne parla proprio.

Francesco Lucrezi, storico