Memoria per caso
Il 15 novembre scorso, ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali, abbiamo inaugurato nell’atrio del nostro liceo la mostra realizzata da una mia classe con le insegnanti di storia e di italiano (la sottoscritta). Quanto sarebbe durata? Quanto saremmo riusciti a resistere prima che qualcuno protestasse per i cartelli che pendono dal soffitto e contro cui è quasi inevitabile sbattere la testa? Inizialmente non ero molto ottimista, e mi sarebbe sembrato già un miracolo se la mostra avesse resistito fino alle vacanze invernali; a quel punto avremmo avuto gioco facile (come poi è stato) a chiedere che rimanesse fino alla Giornata della memoria. E a gennaio, presi dall’entusiasmo, ne abbiamo fatto addirittura una seconda copia che è stata collocata nei locali dell’Unione Culturale, nel pieno centro di Torino, per un settimana circa. Smontata la seconda mostra, chi aveva voglia di mettersi a smontare anche la prima? Intanto le proteste, se c’erano, non giungevano alle nostre orecchie. La mostra è rimasta.
E così siamo arrivati alle vacanze pasquali. Sono passati cinque mesi, ormai chi voleva vederla l’ha vista. Smontiamo? Ma ecco che nella mia testa si accende di colpo una lampadina: le elezioni! Il 26 maggio entreranno nella scuola centinaia se non migliaia di persone per votare; quale occasione migliore di far vedere la mostra anche a persone che davvero non sanno nulla dell’antisemitismo fascista e della Shoah? Altro che i miei tre visitatori in due ore dell’Unione Culturale. Sotto l’effetto di questa illuminazione sistemiamo, restauriamo, riattacchiamo cartelli caduti, rinforziamo cartelli cadenti, e infine tiriamo il filo un po’ più su per evitare che ci batta la testa qualcuno che potrebbe farsi male sul serio. Arriviamo finalmente a venerdì scorso, un’ultima occhiata che tutto sia a posto e poi siamo tenuti tutti a sgomberare la scuola entro le 14,10. Iniziano per me due giorni di trepidazione: che ne sarà della mostra? Resterà al suo posto o salterà fuori qualche presidente di seggio o rappresentante di lista che pretenderà che sia smontata? Qualcuno si permetterà di dire che è propaganda politica? Quasi quasi in certi momenti mi auguro che accada per avere il pretesto di montare un caso nazionale, in altri momenti la voglia di litigare mi passa di colpo e quasi vorrei non andare a vedere che cosa succede per non rischiare di trovarmi invischiata in polemiche. Invece ci devo andare per forza, perché abito vicino alla scuola e voto lì.
Domenica vado a votare; ecco il momento della verità: all’entrata i cartelli con i nomi dei 39 allievi e delle due insegnanti espulse dalla scuola nel 1938. Qualcuno li sta guardando. Bene. Entro nell’atrio: tutto a posto, anche i fili che pendono. Qualcuno sta leggendo. Non molti, ma qualcuno c’è. E all’uscita ancora altre persone che stanno guardando la lista dei nomi. In tutto non sarò stata più di dieci minuti; se moltiplichiamo per l’intera giornata non è affatto male. Peccato per l’aula con le storie degli ex allievi deportati e uccisi, che è diventata un seggio, e quindi le cabine e le liste dei candidati coprono tutte le pareti. Pazienza, non è colpa di nessuno.
Mi rendo conto che nel mio pessimismo non avevo dato il giusto peso a un elemento tipico della scuola italiana, e forse dell’Italia in generale: la tendenza delle cose temporanee a diventare permanenti non per una decisione o per la strenua volontà di qualcuno ma semplicemente per inerzia e per indifferenza. La nostra mostra ormai fa parte del paesaggio della scuola, nessuno la guarda più e nessuno protesta per la sua presenza (neanche per i fili che pendono) perché ormai non ci fa più caso. Immagino che con le pietre d’inciampo accada qualcosa di simile. Forse, però, questo non è un male. Affondata in questa indifferenza distratta ma tutto sommato benevola la memoria dell’antisemitismo fascista e della Shoah trova finalmente il suo posto nella percezione comune, si insinua nell’immaginario collettivo e non sarà facile estirparla proprio perché è stata assorbita inconsapevolmente e quasi per caso.
Forse una volta tanto l’indifferenza gioca a nostro favore.
Anna Segre, insegnante