Sogno irreale di un ritorno

francesco bassanoIn una delle ultime interviste ad Abraham Yehoshua – Corriere della Sera dell’11 aprile -, lo scrittore afferma che, a differenza del resto del mondo, in Israele sia tra arabi che ebrei si può riscontrare un “eccesso di memoria”: “I palestinesi passano la vita a recriminare sulla Nakba, la cacciata dalla loro terra. Sognano la Eawda, il ritorno. Custodiscono le chiavi della casa del bisnonno. Chiavi che non aprono più nessuna porta. Al posto della casa del bisnonno c’è un grattacielo o un negozio della Apple.”. Mi è tornato in mente questo discorso leggendo un racconto dello scrittore libanese Sélim Nassib, “la strada di casa”, contenuto nella raccolta Una sera qualsiasi a Beirut (Edizioni e/o, 2006). In questo racconto, una madre porta il proprio figlio a vedere i resti del villaggio natio per ricercare la casa dell’infanzia in seguito inglobata in una moderna città israeliana. Il figlio è poco interessato alla gita, afferma che “poiché è l’ultimo nato gli è caduta sulle spalle tutta l’eredità, la Palestina, il dramma, le leggende del passato”. Quando arriveranno finalmente a ritrovare l’edificio, scopriranno che qui vi abita adesso un’altra famiglia palestinese, o meglio arabo-israeliana.
Il ritorno è infatti il mito fondante del nazionalismo palestinese, la discussione sul conflitto, anche in Europa, verte costantemente su ciò che è avvenuto in passato e sugli errori commessi da una parte o dall’altra. Un ritorno che travalica spesso il ricordo affettivo e nostalgico assumendo il significato politico di riconquista. Come già ebbi modo di scrivere, l’esodo palestinese non è poi differente da altri esodi drammatici o scambi di popolazione che avvennero nell’arco del Novecento. La differenza sta soprattutto nel fatto che gli altri esodati, oltre a scomparire del tutto o quasi dai luoghi natii, finirono per essere “assorbiti” negli stati in cui si trovano a risiedere. I palestinesi del Libano o della Giordania sognano il ritorno perché i vari leader arabi hanno sempre propagandato l’idea che i paesi nei quali i primi abitano – per quanto vi sia una cultura in gran parte condivisa con la loro d’origine – siano soltanto residenze provvisorie, e che quindi non varrebbe la pena sentirsi là cittadini a pieno titolo o tentare di migliorare le proprie condizioni di vita. Il ricordo del passato acquista non di rado caratteristiche inedite, un buon rifugio specialmente in situazioni di disperazione e di crisi. L’esercizio della memoria dovrebbe avere sempre come obbiettivo la costruzione di un presente e di un futuro migliore. Il sogno di un ritorno ad uno stadio anteriore invece, oltre ad essere irreale, è fine a se stesso e talvolta nocivo.

Francesco Moises Bassano