Una giusta provocazione
Ho trovato l’intervista di Guido Vitale ad Ha Keillah molto interessante, con una giusta provocazione sul ruolo, la percezione e l’incisività del rabbinato italiano. Il direttore Vitale ha lanciato una pietra nello stagno. Il problema è che non è più uno stagno, ma una palude
Perché il rabbinato italiano ha un serio problema di autorevolezza. Il re è nudo, anche se non ce lo vogliamo dire. Le energie dei miei colleghi sono oggi dedicate principalmente al tema della Casherut, dove c’è un ritorno economico anche legittimo ma senza benefici effettivi per le singole Comunità, benefici come la distribuzione di prodotti kasher controllati in Italia alle comunità italiane al prezzo di costo, o un controllo incrociato tra i prodotti esportati con timbro di kasherut e gli stessi che rimangono sul mercato italiano, senza timbro, ma ugualmente kasher.
Per non parlare dell’uso improprio dell’autorità rabbinica nei processi di conversione, con rabbini che quando perdono contatto con la base molto spesso favoriscono ghiur finalizzati a crearsi degli spazi di fedeltà assoluta: il gher ha il grande vantaggio di essere un presenza “facile” nella vita comunitaria, molto più facile di un tiepido iscritto da coinvolgere nelle attività della locale comunità ebraica.
L’Italia ebraica è oggi composta da tante isole, con un rabbinato coeso solo quando si tratta di difendere alcune posizioni di potere. Manca del tutto una visione ebraica ampia, mancano progetti rivolti al futuro. È una situazione angosciante.
Anche gli sforzi profusi per riscoprire l’ebraismo nell’Italia meridionale sono del tutto evanescenti: parliamoci chiaro, il Progetto Sud non esiste più. Ed è folle la gestione dei rapporti con realtà ebraiche non ortodosse. Tenendo fermi i principi della Halakhah, che non possono essere messi in discussione, non vedo cosa dovrebbe impedirmi di parlare, sedermi a un tavolo, riflettere su una visione comune con esponenti di altre correnti ebraiche. Parliamo con preti e vescovi, andiamo a casa dai papi e non possiamo confrontarci con degli ebrei reform? A me tutto ciò pare un po’ assurdo…
È arrivato il momento che l’UCEI abbia il coraggio di aprire spazi di incontro anche ai reform. La parola chiave è consapevolezza: consapevolezza dei limiti, ma anche del potenziale. Bisogna lavorare su quel che c’è. Ma serve una visione diversa, in un’Italia ebraica dove quattro matrimoni su cinque sono oggi unioni miste. L’approccio tenuto finora è del tutto sbagliato. Mi è stato raccontato da alcuni membri della sua famiglia che rav Toaff diceva che per fare i rabbini “bisogna avere le palle”. Chiedo scusa per le parole non politicamente corrette, ma consapevolezza significa anche avere il coraggio di posizioni scomode e non sempre politicamente corrette se sono per il bene di Am Israel.
Rav Pierpaolo Pinhas Punturello
(16 giugno 2019)