Franco Modigliani, un liberaldemocratico

baldacciPrima ancora di parlare della raccolta di scritti di Franco Modigliani curata da Renato Camurri (Rischio Italia, L’economia italiana vista dall’America 1970-2003, Donzelli, Roma 2018), è opportuno ricordare la collana nella quale il volume è inserito: “Italiani dall’esilio”, questo è il suo nome, ed è diretta dallo stesso Camurri. Il suo obiettivo è di riproporre, togliendoli dall’oblio nel quale spesso erano cadute, figure di grandi intellettuali di cultura liberaldemocratica che il fascismo e/o le leggi razziali avevano costretto ad emigrare, negli Stati Uniti in maggioranza. Sono stati così pubblicati volumi su Gino Germani, su Giorgio La Piana, su G.A. Borgese, su Corrado Cagli; non a caso il primo volume della collana, curato anch’esso da Renato Camurri, è stato dedicato al più grande di questi esuli: le “Lettere americane” di Gaetano Salvemini, la cui figura ritornerà nelle pagine dedicate a Modigliani.
Il titolo del libro non deve ingannare: Camurri non ha inserito nel libro i testi di Modigliani relativi alle sue ricerche econometriche che gli valsero nel 1985 il Premio Nobel. Gli scritti di Modigliani inseriti nella raccolta sono in grande maggioranza interviste a quotidiani e periodici italiani, che si snodano dal 1970 fino alla vigilia della sua morte, nel 2003, e riguardano argomenti dell’attualità politica, letti naturalmente attraverso la lente dell’economista, che, con grande passione civile ma al tempo stesso con il rigore dello studioso, vedeva sempre più profilarsi quel “rischio Italia” che dà il titolo al volume, il rischio cioè che il nostro Paese scivolasse sempre più fuori del quadro delle economie liberali più avanzate.
Le interviste e gli articoli di Modigliani, che ancora oggi sono illuminanti sulla realtà attuale del nostro Paese, acquistano il loro pieno significato letti alla luce della lunga introduzione di Renato Camurri, di fatto una vera e propria biografia del “grande esule”, come lo definisce, che integra e chiarisce l’autobiografia dello stesso Modigliani (Le avventure di un’economista. La mia vita, le mie idee, la nostra epoca, Laterza, Roma-Bari, 1999).
Il saggio di Camurri illumina soprattutto due fasi della vita dell’economista: quella giovanile, che ci trasporta nell’Italia della seconda metà degli anni ’30, dove giovani studiosi in via di formazione trovavano un momento di confronto e di riflessione nei Littoriali; una fase della vita di Modigliani bruscamente troncata dalle leggi razziali e dalla conseguente decisione di prendere, nel 1939, la via dell’esilio: di andare negli Stati Uniti, dove, in un contesto familiare certamente favorevole, ma che non gli risparmiava l’impegno lavorativo, troverà la sua strada di studioso di economia, con l’approdo alla New School for Social Research di New York, decisiva per la sua formazione, grazie all’incontro con alcuni grandi economisti, e dove troviamo la figura di un altro grande esule, ebreo e antifascista, Max Ascoli.
Camurri segue nel dettaglio quella fase della sua vita, che culmina in un altro incontro di grande rilievo: quello con Gaetano Salvemini, anch’egli esule negli Stati Uniti. Salvemini e Modigliani, pur così distanti per formazione specialistica, erano fatti per capirsi, soprattutto perché, come scrive Camurri, erano uniti dal modo di intendere la politica: “partire sempre dalla concretezza dei problemi e avanzare delle soluzioni, ovvero niente chiacchiere inutili e fumose proposte intrise di ideologismi”.
È a quel punto della vita, conclusa la guerra e sconfitti i fascismi, che si impose a Modigliani la necessità di una scelta: tornare In Italia – come fece, anche se non subito, Salvemini – o restare in America. Salvemini e Modigliani discussero a lungo su un possibile impegno in Italia, ma, se l’analisi era molto simile – la necessità di opporsi a clericali e comunisti che si andavano profilando come i nuovi dominatori della politica italiana – le conclusioni furono diverse. Dopo lunga riflessione Modigliani decise di restare negli Stati Uniti, chiedendo e ottenendo la cittadinanza americana.
Qui si pone la domanda che si fa Camurri, una domanda pienamente legittima, che egli formula già a partire dall’inizio dell’esilio di Modigliani: se fosse rimasto (o se fosse tornato) in Italia avrebbe raggiunto i traguardi che come studioso di scienza economica raggiunse? La risposta è chiara: solo un ambiente così ricco e stimolante come quello dell’Università americana permise al giovane studioso di esprimere il meglio di sé, cosa che difficilmente sarebbe potuta avvenire nell’ambiente chiuso e conservatore del mondo accademico italiano. Ma anche la rinuncia a tornare in Italia dopo la fine della guerra esprime il suo profondo pessimismo sul futuro politico del nostro Paese, dominato non solo dal permanere, nel dopoguerra, dei residui non eliminati del fascismo, ma soprattutto da quelle due culture, clericale e comunista, che egli lucidamente già vedeva dominare la politica italiana.
Non per questo Modigliani si estraniò dalla vita politica ed economica dell’Italia: proprio il volume di cui stiamo parlando testimonia del contrario (ed è questa l’altra fase della vita che Camurri maggiormente approfondisce): intervenne spesso e con passione, proponendo ai problemi italiani soluzioni quasi sempre impopolari, lontane da quelle gradite alle culture dominanti e che infatti raramente venivano ascoltate, pur nel formale ossequio all’economista che aveva ottenuto il premio Nobel.
Modigliani vide con grande anticipo la strada lungo la quale l’Italia si sarebbe persa, quella di una spesa pubblica senza controllo, di una vocazione all’aumento incontrollato del debito pubblico che accomunava tutti i protagonisti della politica italiana, da Craxi a Berlusconi, dal PCI e dai partiti suoi successori ai sindacati, con le rare e vane eccezioni dei partiti laici, a cui si sentiva più vicino. Vanamente Modigliani cercò – perfino all’interno delle correnti riformiste che gli sembrava potessero emergere nel PCI e nella CGIL – degli interlocutori validi. Le sue “prediche inutili”, come quelle del suo collega economista Luigi Einaudi, caddero nel vuoto.
Dobbiamo allora leggere Modigliani come un profeta la cui voce risuonava inutilmente nel deserto? Non è proprio così. Pur nella fermezza dei principi, Modigliani aveva, come abbiamo già visto, una forte propensione ad affrontare i problemi nella loro concretezza: da qui il suo apprezzamento per l’opera di due governi, quelli diretti da Giuliano Amato e da Carlo Azeglio Ciampi. Soprattutto verso quest’ultimo Modigliani ebbe una grande considerazione. E questo ci porta a un’ultima riflessione: questa Italia, che da più di un secolo sembra aver smarrito la strada della moderna civiltà liberale, prima con il fascismo, poi con il condominio clerico-comunista, oggi con quello populista-sovranista, sembra però capace di far nascere dal suo seno anche degli anticorpi, ancorché molto deboli, rappresentati da figure di schietta cultura liberaldemocratica, alle quali le classi politiche dominanti, pur così lontane da esse, sembrano non poter rinunciare, almeno per poter salvare il salvabile. Sarà così anche in questa fine del secondo decennio del XXI secolo?

Valentino Baldacci