Le donne tra ellenismo e ebraismo

Giorgio BerrutoNei saggi contenuti nel volume Saggezza straniera Arnaldo Momigliano ha studiato l’influenza dell’ellenismo e della cultura greca nelle civiltà del Mediterraneo centrale e orientale. Introvabile per anni dopo la prima edizione del 1980, Einaudi ha finalmente deciso di ripubblicarlo e riproporlo nelle librerie da luglio 2019. L’egemonia della cultura greca nel Mediterraneo orientale dopo le conquiste di Alessandro, in generale, è un dato relativamente pacifico in sede storiografica. Anche quei gruppi che si oppongono alla penetrazione capillare della cultura greca ne sono impregnati, come ha mostrato per esempio Yeshayahu Leibowitz meditando sulla rivolta dei Maccabei e sulla festa di Chanukkà nel libro Le feste ebraiche (Jaca Book), una lettura a mio avviso feconda su cui ho già provato a riflettere in questo spazio. Secondo Leibowitz la stessa idea di sacrificio di sé, cardinale per la descrizione di Giuda Maccabeo e dei suoi seguaci nelle fonti che riportano la guerra contro il regime ellenistico – e non di meno contro gli ebrei ellenizzati – è di chiara origine greca e non ebraica.
Anche la considerazione della donna dall’epoca biblica a quella rabbinica cambia progressivamente sotto la pervicace influenza culturale ellenistica, che per numerosi secoli domina il Vicino Oriente. A sottolinearlo in un testo ricco di spunti e di riferimenti – Ascolta la sua voce. La donna nella legge ebraica (Giuntina) – è il rabbino Haim Fabrizio Cipriani. “Naturalmente si tratta di processi graduali, e già nella letteratura biblica tardiva troviamo esempi di quella misoginia che diventerà poi un tratto consueto nella letteratura rabbinica. Nel Qohelet, per esempio, testo databile intorno al III secolo a.e.v., e impregnato di ellenismo, leggiamo: ‘Quello che ho trovato più amaro della morte è la donna’”. Che fare dunque? Cestinare l’intera tradizione o almeno quelle parti che non sembrano adeguate a rispondere alle questioni dei nostri tempi? Naturalmente no, convengono Leibowitz e Cipriani: quello che è invece indispensabile fare, anche se non sempre viene fatto, è storicizzare, che è anche la via maestra per evitare il dogmatismo e il fanatismo. Con le parole di Leibowitz, intervistato il 17 aprile 1992 su Haaretz: “La donna oggi è un’altra creatura rispetto a ciò che è stata per trecento o cinquecento generazioni. La figura della donna medico, avvocato, professore universitario […] la halakhà non conosce questa figura […] Quello che è certo è che l’ebraismo […] è obbligato a modificare dalle fondamenta la posizione della donna nella società. Altrimenti, per l’ebraismo chiamato ortodosso non vi è futuro, perché d’ora in poi non sarà possibile una società umana corretta nella quale la donna non sia parte integrante della cultura e della vita politica e sociale”.

Giorgio Berruto