Rabbini di tutta l’Italia, unitevi

Il numero di Luglio di Pagine Ebraiche uscirà con un testo di rav Alberto Moshe Somekh che anticipiamo di seguito per i nostri lettori.

somekhIl recente intervento di rav Pinhas Punturello, direttore degli studi ebraici alla Scuola della Comunità di Madrid, richiede qualche attenzione e riflessione. Tre mi sembrano i punti qualificanti della sua critica al Rabbinato italiano.
Kashrut senza Hekhsher. Rav Punturello lamenta una presunta decisa preferenza dei Rabbini italiani per la kashrut commerciale a scapito dell’attenzione che dovrebbero piuttosto recare alle reali necessità alimentari del pubblico ebraico italiano. Per anni mi sono dedicato a questo secondo settore. Mi sono fatto ricevere a mie spese in vari stabilimenti sollecitando i controlli nell’intento di garantire prodotti base facilmente reperibili in tutta Italia. Ultimamente questo genere di contatti è entrato in crisi: non per indisponibilità del Rabbinato, ma delle ditte stesse. Non essendo interessate alla certificazione ufficiale, ci vogliono probabilmente far capire che non sono neppure disposte a sobbarcarsi il lavoro di verifica da parte nostra senza un tornaconto. Dovremmo a questo punto accontentarci della sola lista degli ingredienti sulle confezioni, rinunciando a controllare linee di produzione e recipienti? No. Se così ci limitassimo a fare finiremmo per incoraggiare il kosherstyle anziché una vera kashrut, degna del suo nome.
Ghiyur generalizzato. Rav Punturello fa capire che nei nostri Battè Din ci sarebbe un atteggiamento selettivo nel valutare i candidati (adulti) alla conversione, aldilà di parametri strettamente halakhici. Mi sento di dubitare di questa ipotesi. Agli Ebrei italiani semplicemente del Ghiyur non importa nulla, se non per quanto concerne i loro figli. Ma i Ghiyurè Qetannim, ovvero le conversioni di bambini in tenera età senza il Ghiyur della madre, nessun Rabbino ortodosso, per facilitante che sia, è oggi più disposto a farli: in Italia come all’estero. Chi rimpiange un certo recente passato finge con ogni probabilità di dimenticare che se sua moglie non avesse accettato di convertirsi insieme ai figli sarebbero tutti caduti nell’oblio. Per questa ragione si reclama a gran voce la Riforma, che già Shadal definiva “sconcissima cosa”.
Dialogo inter-religioso e dialogo intra-religioso. Rav Punturello afferma che quegli stessi Rabbini che tanto si impegnano nel dialogo fra le religioni dovrebbero a maggior ragione accettare il dialogo con i Riformati. Anche questa argomentazione a fortiori si demolisce facilmente. La motivazione, infatti, non è la stessa. Anche i colleghi più aperti al confronto con le altre religioni non lo fanno certo per equipararle all’ebraismo. È invece evidente che nell’attuale clima politico ebraico italiano si sollecitano i contatti con il mondo riformato proprio per giungere a metterlo sullo stesso piano di quello ortodosso.
Coloro che denunciano le discriminazioni dei figli di solo padre ebreo vedono esclusivamente una parte del problema, che è assai più vasto e devastante. In molte Comunità si rischia di non avere una nuova generazione tout court. A Torino, per esempio, nel 2018 sono nati tre bimbi maschi da madre ebrea, che tuttavia non hanno avuto il Berit Milah. Ma di questo nessuno si dà pena. Tempo fa una mia cara amica d’infanzia mi esprimeva la sua disperazione per il fatto che sua figlia aveva deciso di abbandonare il liceo ebraico che frequentava e si era intiepidita. Provai a chiederle se fosse disposta a rafforzare l’osservanza ebraica in casa adottando la plata di Shabbat. Mi rispose che questo non rientrava nelle tradizioni della sua famiglia. “Lo sai benissimo, Alberto – mi disse piccata – che noi di Shabbat adoperiamo anche la macchina”. Non sono solo i Rabbini a dire di no. Spetta al buon medico prescrivere la giusta terapia, ma accettarla è un problema del paziente. È certo più facile, ma anche più vile accusare i Rabbini di non aver perfezionato quattro Ghiyurim che non interrogarsi seriamente sul fallimento di quasi un’intera generazione nell’educare i figli.
Il vero dibattito nell’Italia ebraica di oggi non è sul Ghiyur, che funge solo da pretesto, ma sulla Shemirat Mitzwot. C’è chi propone di istituzionalizzare un ebraismo scevro dall’osservanza. Su questo noi Rabbini dobbiamo avere le idee estremamente chiare. Si parla tanto dell’obbligo di recupero degli “ebrei lontani”. Ebbene, pur rispettando le scelte individuali noi dobbiamo mettere qualsiasi “ebreo lontano” che desideri “tornare” in condizione di ritrovare la via maestra della Tradizione cui potersi ispirare, indicandogliela anzitutto attraverso le nostre istituzioni. Così è sempre accaduto in passato e proprio questo ha salvato l’Ebraismo Italiano dall’estinzione: così dovrà continuare a essere. Rabbini di tutta l’Italia unitevi. Nel nostro piccolo abbiamo qualcosa da dire e molto da insegnare! Per molti versi il Rabbinato Italiano ha raggiunto risultati ineguagliati in questi anni. Complice anche la tecnologia, il numero delle lezioni e delle pubblicazioni a disposizione del pubblico non ha pari rispetto al passato. Per la prima volta nella Storia si è intrapresa una traduzione sistematica del Talmud in italiano. Forse la nostra forza sta proprio nel gruppo, anziché nell’eccellenza individuale e questo dato per quanto importante sfugge. Continuiamo a lavorare con costanza e umiltà, ma senza complessi di inferiorità. C’è solo da sperare che con l’aiuto di H. un giorno qualche cambiamento nella via da noi auspicata ci sarà. Ci sono stati già in antico personaggi di ben altra levatura che la nostra, dei quali il Talmud dice: “avrebbero meritato la Shekhinah se solo la loro generazione ne fosse stata all’altezza”. Ma questo fatto non li ha dati per vinti.

Rav Alberto Moshe Somekh