Ascoltare l’interlocutore

momiglianoLa Mishnà ( Avot 5,17) definisce e distingue due tipi di controversie – machloket – a seconda che si possano o meno definire – “leshem shamaym” cioè aventi fini elevati, (alcuni traducono “religiosi”). A riguardo delle dispute positive si dice che sono destinate ad andare a buon fine, cosa che invece non si può affermare relativamente a controversie che non sono “ leshem shamaym”; quale esempio di dispute di carattere positivo vengono portate le discussioni di carattere normativo – halakhà – sviluppatesi tra Hillel e Shammay, viceversa la ribellione intentata da Korach e un gruppo eterogeneo di congiurati contro Mosè è indicata come esempio di dispute di tipo negativo. Nella attuale contingenza delle nostre comunità – non solo in questo paese – oltre a queste due modalità, sembra darsi anche un altro tipo di discussione: quella apparente, dove anche quando ci si parla in modo sostanzialmente rispettoso, in realtà non si ha alcun interesse nel sentire l’opinione dell’interlocutore, dal momento che si ritiene di conoscere già quello che ha da dirci oppure si è convinti di poterne fare tranquillamente a meno. L’ebraismo ha una tale vastità di contenuti, che la padronanza della storia, o della letteratura o della filosofia ebraica, o anche di un ambito più specificatamente proprio della tradizione religiosa,come il midrash aggadà, possono fare ritenere di essere in possesso di adeguati strumenti e conoscenze in campo ebraico e, compiendo un ulteriore passaggio di pensiero, supportare la convinzione che la disponibilità personale di tali conoscenze costituisca un’adeguata espressione di vita ebraica. Chi si muove in questo orizzonte, spesso quando ascolta un insegnamento di halakhà non lo considera particolarmente significativo, non solo in relazione alle sue personali scelte d’identità ebraica, ma neppure come espressione degli aspetti più importanti dell’ebraismo in termini generali. Talvolta si verifica anche, in senso opposto, che, posto il carattere prioritario della normativa delle Mizvot, gli altri aspetti, compresi nel campo genericamente definito come cultura ebraica, vengano recepiti in un confronto di idee con ben scarsa attenzione. Forse sarebbe utile ricordare – da un lato – che la conoscenza quanto più approfondita di cultura ebraica, che può essere – ed è effettivamente – appannaggio di chiunque, di qualsiasi identità o religione, vi si dedichi assiduamente, per questo stesso motivo, evidentemente, non può esaurire né sostituire la voce della vita ebraica , d’altra parte, tenere anche presente che le sollecitazioni che giungono dal fermento di ricerca e di interesse per l’ebraismo, comunque culturalmente inteso, possono arricchire e alimentare lo studio di Torah nel senso propriamente inteso come “Torah chaim”, insegnamento di vita.
Ascoltare l’interlocutore, sapendo che non adotteremo il suo modo di pensare, e di vivere, e che tuttavia potremmo avere qualcosa da imparare anche da lui, forse sarebbe già un passo avanti.

Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova