L’ebraismo altro
Marc Gontard (Le roman français postmoderne, 2003) scrisse che «L’entrée du texte francophone dans la postmodernité, au-delà de la politique linguistique hésitante des états post-coloniaux, se traduit par la valorisation d’un bilinguisme qui ne s’exprime plus sur le mode du déchirement mais sur celui de l’ouverture du sujet à sa propre altérité. C’est Abdelkebir Khatibi qui, le premier, a découvert en lui la dynamique créatrice du bilinguisme, au point d’en faire la matière même de son œuvre. Refusant le dualisme franco-arabe avec ses clivages et ses frustrations, il a d’abord cherché à déconstruire l’opposition entre les deux cultures en pratiquant la «pensée-autre» et la «double critique».
Sul c.d. «pensiero altro» abbiamo uno stimolante saggio di Alain Touraine (Armando, 2009), intitolato, per l’appunto, “Il pensiero altro”, il quale, però, nell’originale era intitolato « Penser autrement» e non «La Pensée-autre». Siamo però rapiti, anche e forse soprattutto, in Italia, dall’inversione dei termini, sia perché oscilla fra il metalinguaggio iniziatico e la neolingua, sia perché consente di invertire/sovvertire la logica. E pensare che Simone de Beauvoir nel suo bellissimo saggio La pensée de droite, aujourd’hui (Les Temps Modernes, 1955) aveva giustamente fustigato la c.d. distinzione, che sfocia nell’essere una persona “distinta”, senza poter umanamente divinare che la sinistra futura avrebbe ereditato i malvezzi classisti della destra vecchia, come si potrebbe pure desumere dal pensiero del citato Touraine.
Invertire i termini è un’operazione simbolica per cui, se io ebreo fustigassi i Rabbini e manifestassi la mia solidarietà con un leader religioso non ebreo, farei senz’altro bene, perché è un’operazione a rischio zero che, nel contempo, richiama talune felici affermazioni di Ennio Flaiano sul più vasto tema del soccorso e, segnatamente, dell’identità dei soccorsi. Se, per esempio, nel chiuso della mia soffitta, redigessi un eventuale elenco di priorità, annoverandovi la pulitura della moquette, la lotta alle zanzare, l’acquisto di temperamatite più efficaci, la scelta del dessert vegano per gli ospiti, l’individuazione del coiffeur meno esoso e, poi, inserissi la lotta all’antisemitismo come punto ultimo in lista, compirei anche qui un passo per cambiare l’altro pensiero in pensiero altro e l’altro obiettivo nell’obiettivo altro, in una personalissima ma comunque rispettabile interpretazione laica dell’alterità. Non è vero, poi, che le ipotesi sulla realtà non mutino la realtà stessa, semmai, sarebbe da domandarsi, visto che si discorre d’alterità, quale fine sia destinata agli altri. Non ci voglio pensare.
Emanuele Calò, giurista