La vacca rossa e l’antisepsi

roberto jonaNella parashà di Hukkat, che abbiamo letto di recente, si parla dettagliatamente di come ottenere le ceneri della vacca rossa, animale raro che doveva essere sacrificato, bruciato per ottenere la cenere che, “sarebbe servita per fare l’acqua purificatrice”, ma non c’è scritto come produrre quest’acqua particolare. Data la sequenza della descrizione sembrerebbe che le ceneri della vacca rossa venissero disperse in acqua rendendo questa “purificatrice”, ma questo non è detto esplicitamente. È un precetto estremamente oscuro che ha visto perfino il Re Salomone arrendersi di fronte alla complessità delle prescrizioni. Con questo precedente non proverò certo io a spiegarlo ai lettori!
La-vacca-rossaViceversa, successivamente alle prescrizioni sulla vacca rossa, senza nessuna soluzione di continuità nel testo biblico si trova una lunga e dettagliata casistica di come comportarsi in caso di contatto con un morto ( sia umano che animale). È importante notare che l’impurità si contrae sia per il contatto con un cadavere umano come con il corpo di un animale, anche se questo è stato ucciso intenzionalmente per offrirlo come sacrificio. È interessante che in una parashà successiva (Mattot) queste norme igieniche vengono rinforzate ed estese ai combattenti e alle cose. Agli appartenenti all’ esercito che hanno sconfitto i Midianiti, viene ingiunto di restare fuori dall’accampamento per sette giorni a purificarsi con ripetuti lavaggi, e viene aggiunta la normativa riguardante gli oggetti: gli oggetti metallici da essi conquistati devono essere passati al fuoco; viceversa ciò che non può essere passato al fuoco ( pellame e stoffe) deve essere lavato con acqua purificatrice: un moderno trattato di microbiologia non sarebbe più chiaro e completo!
Sostanzialmente, per eliminare l’impurità la prescrizione è sempre la stessa: lavarsi (se stessi, gli abiti e in generale gli oggetti). Anche se non entriamo in dettagli che non sfigurerebbero in un moderno trattato di microbiologia applicata e di igiene, questo rigore microbiologico osservato come mitzwà può fornire una ipotesi di spiegazione al fatto che quando, nel corso dei secoli, una pestilenza colpiva la popolazione, spesso gli Ebrei erano il gruppo meno colpito, attirando su di loro l’accusa di “untori”. E la tradizione ebraica offre tutta una vasta gamma di “abluzioni purificatrici” che altro non sono che lavaggi. Inizialmente erano ( già nel deserto) i sacerdoti che dovevano purificarsi con acqua prima delle varie cerimonie e gradualmente gli obblighi di…lavarsi si estesero a tutto il popolo per le occasioni più diverse. Dalla miqwé mensile per le donne alla netilat yadaim obbligatoria appena svegli al mattino, nonché in numerose situazioni a cominciare da quando ci si accinge a mangiare il pane, a prima delle preghiere al Beith Hakneseth, e la Birchat Kohanim.
La normativa delle abluzioni si è sviluppata gradualmente dai tempi dell’ Esodo fino alla costruzione del Santuario ed è raccolta nella Mishnà e nel Talmud, in numerosi trattati, raccolti nell’ ordine Toharot (purezze, purificazione).
Ciò che colpisce è che mentre altri concetti dell’ Ebraismo sono passati nella civiltà non ebraica circostante, questi sistemi di eliminazione delle impurità sono rimasti per millenni confinati all’ interno del rituale ebraico. E fu necessario attendere oltre tre millenni perché riemergessero grazie alle lente e faticose scoperte della microbiologia. E’ emozionante leggere la storia di Ignaz Semmelweis, poco conosciuto medico ungherese, laureato a Vienna nel 1844 che, due anni dopo cominciò a lavorare come assistente di un professore presso il primo reparto ostetrico dell’Ospedale Generale di Vienna. Qui più del 13 per cento delle partorienti moriva di una malattia chiamata febbre puerperale. Sulle cause di questa malattia non esisteva alcuna spiegazione. L’ospedale dove Semmelweis lavorava aveva due reparti di maternità, e stranamente il tasso di mortalità materna era molto più alto nel primo che nel secondo. L’unica differenza tra i due reparti era che nel primo venivano istruiti gli studenti di medicina, mentre nel secondo le levatrici. All’inizio del 1847 un collega e amico di Semmelweis, Jakob Kolletschka, morì per avvelenamento del sangue dopo aver riportato un taglio durante la dissezione di un cadavere. Semmelweis riscontrò che le risultanze dell’autopsia eseguita sull’amico erano molto simili a quelle delle vittime della febbre puerperale.
Questo portò Semmelweis a pensare che qualche sostanza velenosa proveniente dai cadaveri potesse infettare le donne partorienti. I dottori e gli studenti di medicina, infatti, eseguivano spesso autopsie prima di recarsi al reparto di maternità, mentre nel secondo reparto la mortalità era più bassa perché le levatrici non eseguivano autopsie. Per verificare questa ipotesi Semmelweis introdusse immediatamente un severo regolamento per il lavaggio delle mani, che dovevano essere sterilizzate con una soluzione di cloruro di calce prima delle visite alle donne incinte. I risultati furono sensazionali: il tasso di mortalità, che in aprile era del 18,27 per cento, crollò fino allo 0,19 per cento verso la fine dello stesso anno. Tuttavia non tutti furono entusiasti delle scoperte di Semmelweis. I risultati ottenuti erano in contrasto con le teorie sostenute dal suo superiore, che oltretutto trovava irritanti i suoi modi insistenti. Semmelweis perse il posto di lavoro a Vienna e ritornò in Ungheria, dove assunse la direzione del reparto di ostetricia dell’ospedale di San Rocco a Pest e riuscì a portare il tasso di mortalità per febbre puerperale al di sotto dell’uno per cento. Occorreva attendere ancora più di venti anni perché Pasteur fornisse una spiegazione del fenomeno scoprendo i batteri, e di conseguenza indicasse un metodo fondamentale di difesa contro i microbi, ossia tutte quelle sostanze che costituivano l’antisepsi come l’acido fenico, il sublimato, lo iodoformio, il salolo. Un altro progresso nella cura del malato consisteva invece nell’asepsi ossia nella pulizia assoluta degli strumenti, delle mani e di tutto ciò che avrebbe avuto un contatto con il ferito. Lentamente, e al prezzo di tanti morti, le scoperte della scienza microbiologica si fecero strada e l’igiene, l’asepsi e l’antisepsi divennero pratica comune. Lavarsi le mani divenne imperativo in tutti i casi a rischio di infezione: la Torah l’aveva già scoperto da oltre tre millenni, ma il merito fu di….Pasteur !

Roberto Jona, agronomo