Le tende benedette da Balaam, una lezione sulla privacy oggi
Nelle scorse settimane Faceapp, l’applicazione che ti fa vedere come sarai da vecchio, è tornata di moda. E con lei, le domande sulla privacy degli utenti. L’app creata da un’azienda russa ha infatti regole vaghe e poche chiare rispetto alla gestione dei dati che ogni utente le fornisce utilizzandola. Faceapp non è però la sola ad avere problemi di trasparenza, hanno sottolineato gli esperti, e c’è chi ha chiesto di aprire una discussione seria e allargata su questo tema. Tra questi, il presidente della Yeshiva University di New York, il rabbino Ari Berman. “Che cosa facciamo in quest’epoca di connessione costante e monitoraggio continuo, dove i pensieri, le parole e le azioni possono essere istantaneamente catturati, trasmessi in tutto il mondo e conservati per sempre; dove i confini tra pubblico e privato sono sempre più sfumati?”, si è chiesto Berman sulle pagine di Forbes, cercando di dare una risposta ebraica al tema della tutela dei nostri dati sensibili online. Per farlo, il presidente della Yeshiva University richiama la storia del mago pagano Balaam, “incaricato di maledire il popolo israelita ma che finirà invece per benedirlo”. “Forse l’affermazione più famosa che Balaam dice – scrive il rav sul quotidiano economico americano – è la sua lode agli israeliti: ‘Come sono giuste le tue tende, o Giacobbe; e i tuoi accampamenti, o Israele!’. Perché, tra tutte le cose, Balaam ha esaltato le tende degli Israeliti? I rabbini dell’antichità risposero che Balaam ammirava una caratteristica specifica del modo in cui gli israeliti avevano sistemato le loro tende; in particolare, le aperture delle tende non si fronteggiavano, impedendo così agli occhi indagatori di vedere la casa del vicino”. Cosa significa tutto questo? Berman risponde citando il saggio di rav Michael Rosensweig A Sanctified Perspective on Dignity, Privacy, and Community, secondo cui questo passaggio “evidenzia l’enfasi che il pensiero ebraico pone sul primato della privacy. Nella legge ebraica, la privacy non è semplicemente una questione di preferenze personali. Si tratta piuttosto di una categoria giuridica formale, in modo tale che scrutare lo spazio privato di un altro è considerato un atto dannoso. Questo riflette la concezione della tradizione ebraica secondo cui solo lontano dagli occhi del pubblico possiamo scoprire la nostra personalità unica”. Un approccio, spiega il rav, che confligge con la realtà quotidiana in cui viviamo, in cui tutto è condivisione. “I nostri figli sono allevati in una cultura in cui tutto ciò che fanno è catturato e conservato per sempre. Mentre George Orwell in 1984 immaginava che alle persone sarebbero stato imposto questo tipo di comportamento, i nostri figli si impegnano volontariamente in esso, inviando i loro pensieri ed esperienze, per non parlare della divulgazione delle loro informazioni personali senza alcun riguardo per le conseguenze potenzialmente permanenti che ne possono derivare”.
Nel mondo in cui tutti possono osservare tutti – e i giganti della tecnologia in particolare – Berman sottolinea l’importanza dell’affermazione di Balaam in cui la disposizione delle tende è un segno di tutela della privacy. Il rav aggiunge poi un ulteriore passaggio, riflettendo sul perché Balaam parli di accampamenti, oltre che di tende. “I commentatori classici dalla tarda antichità fino al XIX secolo insegnavano che mentre le ‘tende’ si riferivano alle abitazioni private degli israeliti, gli ‘accampamenti’ si riferivano a spazi pubblici dedicati ad attività collettive e comunitarie. Balaam elogia anche questi luoghi perché ci sono enormi vantaggi nel coltivare una piazza pubblica integrata e attiva”. Lo spazio pubblico è dunque necessario ma deve essere costruito in modo virtuoso, con coscienza, affinché influenzi positivamente la società circostante. “Solo impegnandoci a testa alta nella vita pubblica possiamo raggiungere un successo che risuona ben oltre le nostre famiglie e gli ambienti sociali. – sostiene Berman – Abbiamo bisogno di spazi e momenti per noi stessi e per le nostre famiglie; tempi e luoghi in cui la macchina fotografica non deve entrare. La privacy è un valore da proteggere e valorizzare. E una volta che questi momenti privati si sono radicati, possiamo capitalizzare i progressi di oggi partecipando a testa alta nella piazza pubblica”.
“Forse è questa – conclude l’editoriale – la ragione per cui questo versetto ha avuto una così forte risonanza in tutta la tradizione ebraica. L’imperativo di creare sia ‘tende’ private e santificate, sia ‘accampamenti pubblici e virtuosi’ coglie la posizione essenziale dell’approccio dell’ebraismo a un’esperienza umana produttiva. Ed è questo insieme di valori che dobbiamo portare al resto del mondo, in modo che quando i nostri figli avranno veramente 75 anni, e non a causa di un’applicazione, vivranno in una cultura e società che premia il valore delle iniziative private e celebra la promessa di uno sforzo collaborativo”.
Daniel Reichel