La quadratura del cerchio

emanuele calòAlcuni lavori sui giuristi ebrei che abbiamo avuto occasione di sfogliare, e sui quali sarà doveroso ritornare, per la parte che menziona i loro travagliati rapporti con l’ebraismo (segnatamente dopo la legge Falco), riporterebbero alla ribalta l’argomento concordatario.
Sennonché, pur non essendo noi in debito di rivoluzionari vari, non pare che il citato argomento sia mai presente nei loro pensieri.
Costoro sono invariabilmente dei contestatori, quale che sia l’oggetto, temi religiosi compresi, forse incuranti dei segni dei tempi. Ne consegue che il tema concordatario non assurge nemmeno alla dignità del convitato di pietra, perché manca addirittura di una qualsivoglia prospettiva futura.
Eppure, guardando dall’esterno, il sistema concordatario costituisce sia il problema che la soluzione, laddove si optasse per liberarsene. Quest’ultima opzione, tuttavia, sarebbe incompatibile con la mentalità statalista che affligge la nostra società (“lo Stato intervenga!”) nella quale il fascismo ebbe ad attingere a piene mani.
Converrebbe rivedere l’apporto di Guido Fubini al riguardo, il quale, però, distingue nell’ambito della legge Falco, il sistema concordatario dal giurisdizionalismo (Concordato e intese: un approccio ebraico (La libertà dei polli), La Rassegna Mensile di Israel, Vol. 63, No. 2 (Maggio – Agosto 1997), p. 97) laddove cita Santi Romano, al quale si deve la teorizzazione della pluralità degli ordinamenti, e ciò a prescindere dal personale percorso (non certo esaltante) di costui. Il Fubini rispondeva al “Libera Chiesa in libero Stato” con “libera volpe in libero pollaio”, concludendo che le Intese “servono a salvare la libertà dei polli”.
Tuttavia, sappiamo che l’ermeneutica muta col mutare delle circostanze: è la c.d. interpretazione evolutiva. L’attuale dibattito pone un’alternativa netta: non è logico contestare l’attuale impianto confessionale senza contestare le Intese, perché la linea della massima comodità, per quanto popolare, almeno fino ad oggi, non rientra nei citati criteri ermeneutici.

Emanuele Calò, giurista

(3 settembre 2019)